I vecchi bus trasformati in ospedali mobili per l’Ucraina

In Romania il progetto di un gruppo di persone attuato grazie a donazioni spontanee da parte di cittadini

Stefano Giantin

Non solo armi e aiuti finanziari dai Paesi occidentali. L’Ucraina può contare anche sulla solidarietà individuale, nella guerra contro l’aggressione russa. E su progetti nati dall’iniziativa personale che potranno fare la differenza per tanti feriti, al fronte. Uno di questi è “made in Romania”, sostenuto da donazioni spontanee di cittadini romeni e moldavi che hanno contribuito a portare nelle zone di combattimenti vecchi veicoli convertiti e rinforzati in modo da resistere ad attacchi, trasformati in veri e propri ospedali semoventi blindati.

Sono veicoli che a molti – ma ai protagonisti dell’iniziativa il paragone non piace – ricordano i veicoli di Mad Max. E fra i protagonisti c’è Radu Hossu, di Brasov, un passato da consulente politico e da digital marketer in Romania, che ha dedicato gli ultimi mesi ad aiutare l’Ucraina, non certo a parole. È lui l’anima dell’iniziativa, dopo essere stato ispirato l’estate scorsa da richieste di aiuto per salvare i feriti sulle linee del fronte. E dall’idea Hossu è passato subito all’azione. Già a luglio «ho lanciato una campagna di aiuto umanitario» via social network «raccogliendo 600mila euro», esordisce Hossu, che è stato spinto a passare all’azione anche dopo essere stato a Izyum «quattro o cinque giorni dopo la liberazione» e a «Bakhmut tre volte, quando la città era quasi completamente circondata» dai russi. «Ho vissuto sulle linee di contatto sul fronte orientale per più di tre mesi con un team di soldati e lì ho incontrato Oleg Gubal, un esperto giudiziario con una bella moglie, una figlia di 17 anni e un figlio di otto. Era un volontario nella Guardia di difesa territoriale» ucraina.

Gubal, ferito, è morto su una strada, mentre si tentava di trasportarlo al più vicino ospedale: uno dei tanti, troppi difensori dell’Ucraina che «periscono per ferite da scheggia non sul posto, ma sulla strada verso un ospedale». E le cliniche attive sono poche, «dato che la Russia le ha bombardate quasi tutte, quella dove era diretto Gubal era lontana 150 chilometri». Da qui ecco allora l’idea degli «ospedali mobili, con cui prelevare i soldati feriti, ma anche civili e persino prigionieri russi, perché noi e gli ucraini rispettiamo la vita umana».

Per ora Hossu ha già trasformato un bus, già arrivato in Ucraina, che «è di fatto una sala operatoria mobile, dotata di tutti gli strumenti, che sembra uscita dal film Mad Max, che porta i feriti via dal fronte». Quando arrivano in aree sicure, vengono poi «caricati su ambulanze e portati in veri ospedali. Il bus, al quale è stato dato il nome “Oleg Gubal” per commemorarlo, «è costato 130mila euro, coperti da donazioni di romeni e moldavi», protetto con lamiere rinforzate di standard Nato e protetto da una scocca contro le mine anti-carro, mentre all’interno è stata allestita una vera e propria sala operatoria con tutti i crismi.

Ma la “flotta” di strani veicoli blindati nata dall’iniziativa comprende anche «un veicolo di estrazione» dei feriti realizzato utilizzando un vecchio furgone sovietico Gaz; e poi un veicolo logistico, simile a quello «usato nel film Terminator 2», un Peterbuild «con sei letti per i medici, una cucina, una doccia e generatori». Medici che provengono «da Polonia e Ucraina, volontari». La flotta ha un obiettivo importante: può infatti «salvare 30 feriti gravi ogni 24 ore», specifica Hossu. Sono «900 al mese, 2700 in tre mesi, immaginate, immaginate anche quanti potranno poi tornare a combattere, parliamo di più forza contro l’aggressore russo».

Hossu non è solo nel lavoro. «Ci sono più di 25 persone impegnate nel progetto», tra cui “Rum”, un soldato ucraino-romeno, e “Angel”, un paramedico che aveva ricevuto in donazione il bus e una piccola ambulanza e ha avuto l’idea di costruire un ospedale mobile già nel 2016. E poi ci sono i donatori, «il fattore più importante, hanno finanziato il 100% di un progetto che non sarebbe esistito senza i romeni. E persino i pensionati con 200 euro al mese hanno donato 50 euro». La speranza, chiosa Hossu, è che la gara di solidarietà non si fermi. E che tanti altri, non solo romeni, diano un loro contributo per aiutare a salvare i feriti che combattono per l’Ucraina – perché servirebbero almeno «dieci di progetti di questo tipo per coprire tutte i fronti» dove si continua a combattere.

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