I Rom avvelenati nei campi dell’Onu in Kosovo: cinque anni dopo nessun risarcimento

Circa 600 persone furono collocate nel 1999 in sistemazioni vicine alle scorie delle miniere di Trepca in Kosovo dove rimasero fino al 2013

Stefano Giantin
Un insediamento dei rom in Kosovo
Un insediamento dei rom in Kosovo

Prima “aiutati”, collocandoli in insediamenti insalubri e di fatto avvelenandoli, senza informarli dei serissimi rischi. Poi dimenticati. Infine, letteralmente beffati attraverso un nuovo oblio, dopo scuse neppure sentite e sincere. È questo, per ora, il destino di circa 600 rom del Kosovo, vittime di una prolungata intossicazione di massa, da piombo: uno scandalo di proporzioni enormi. Colpa delle Nazioni Unite, che sistemarono gli sfollati di etnia rom in campi pesantemente inquinati, nei pressi di Mitrovica, in Kosovo.

E che ancora oggi, malgrado le promesse, non hanno provveduto ad alcun risarcimento. La denuncia è arrivata da una fonte più che autorevole, Fabian Salvioli, “rapporteur” dell’Onu per la Verità, la Giustizia e le Riparazioni, che ha reso noto che a più di cinque anni dalla creazione di un fondo ad hoc al Palazzo di Vetro, nessuno dei rom avvelenati dal piombo in Kosovo «ha ricevuto adeguati risarcimenti».

Per capire i contorni della vicenda bisogna fare un salto indietro nel tempo, al 1999, a guerra in Kosovo finita. Per moltissimi rom, visti come affini ai serbi da estremisti albanesi, iniziava però una nuova tragedia, con attacchi contro la minoranza che fecero migliaia di sfollati. Per dare un alloggio a circa 600 di essi, in stragrande maggioranza famiglie con minori, l’Onu decise allora di allestire svariati campi - Cesmin Lug, Kablare, Zitkovac e poi Osterode – tutti localizzati a poca distanza da montagne di scorie delle miniere di Trepca, in zone contaminate, con acqua e aria ammorbate dal piombo.

E le Nazioni Unite erano consapevoli della minaccia, perché almeno dal 2000 ai caschi blu e ai funzionari Onu vennero assicurate «misure protettive» in caso di attività nei campi. Per i rom, invece, niente. Vennero lasciati in quegli insediamenti insalubri fino al 2013. E solo nel 2016, dopo ripetute denunce degli stessi rom, ma anche di Ong e attivisti, una commissione interna alla missione Onu in Kosovo (Unmik) riconobbe la propria responsabilità.

L’anno dopo, nel 2017, arrivò quella che a molti sembrò essere una svolta, seppur parziale. Il Segretario generale Onu Antonio Guterres espresse pubblicamente «profondo rammarico» per il destino dei rom, che ancora oggi soffrono di malattie renali, perdita di memoria, problemi a denti e altro - senza spingersi tuttavia a scusarsi. Risarcimenti? Non se ne parla, ma l’Onu quasi sei anni fa annunciò la creazione di un Fondo dedicato a progetti a favore della comunità rom colpita dall’avvelenamento da piombo e mirato a qualche forma di risarcimento. Il Fondo, da riempire con i finanziamenti volontari degli Stati membri delle Nazioni Unite, è tuttavia rimasto vuoto, mentre il palazzo di Vetro stimava di poter raccogliere almeno cinque milioni di dollari. Niente è invece arrivato.

«La mancanza di un fondo con risorse finanziarie è una grande preoccupazione», ha ammesso Barbara Fontana, numero uno del Dipartimento per i diritti umani Onu a Ginevra. L’Onu avrebbe tentato di rimpolpare il Fondo, ha assicurato Fontana, ma senza successo ed esso rimane «disfunzionale e non operativo», a quasi sei anni dal lancio. Dal Palazzo di Vetro, contattato dall’agenzia France Press, bocche cucite sul totale fallimento del progetto. Ma ha parlato Dianne Post, una degli avvocati che difendono le vittime dell’avvelenamento da piombo. «Tutto è iniziato nel 1999 – ha detto Post – e continua anche oggi», anche perché le vittime «non hanno ricevuto alcun trattamento medico», senza parlare di indennizzi.

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