Emigrati e culle vuote, la carenza di lavoratori diventa un problema anche per l’Est europeo
In Romania nel periodo gennaio-luglio scoperti 190 mila posti. Dall’Albania se ne sono andati in 800 mila negli ultimi dieci anni

BELGRADO. Trovare un idraulico, un piastrellista, un muratore? Difficile. Un autista di autobus o un camionista? Quasi impossibile. Operai comuni? Meglio rivolgersi fuori dal Vecchio Continente, dal Vietnam al Bangladesh.
Non sono i problemi ricorrenti nell’Europa più ricca: affliggono sempre più una regione, quella balcanica che un tempo offriva un’ampia e diversificata offerta di manodopera a basso costo, manna per le imprese occidentali.
I tempi però cambiano ovunque. E varie tessere di un complesso puzzle confermano che, causa culle vuote da decenni e soprattutto l’emigrazione che non rallenta, i Balcani si vanno trasformando in un “deserto” dal punto di vista della forza lavoro, pieno di buchi difficili da coprire. Il fenomeno è evidente in Romania, fino a qualche anno fa sorta di dependance delle imprese straniere attratte dall’abbondanza di tecnici e operai. In Romania dati dell’Agenzia nazionale dell’impiego hanno svelato un buco da 190.000 posti di lavoro non coperti, solo da gennaio a luglio, causa la carenza di lavoratori, in particolare nei settori costruzioni, commercio al dettaglio, ma anche ristorazione e trasporti. Così il governo di Bucarest ha deciso di «fissare un contingente di 100mila lavoratori stranieri» extracomunitari che saranno ammessi in Romania nel 2023, ha annunciato l’esecutivo confermando le “quote” 2022. Ma nel 2021 le “importazioni” di lavoratori extra-Ue erano state solo 38mila, e 22mila nel 2020: numeri che segnalano un trend in crescita, per una nazione che dal 2007 al 2015 ha perso più di tre milioni di abitanti per emigrazione. A sostituirli, spiegano i report dell’Ispettorato generale del Lavoro di Bucarest, decine di migliaia di moldavi, turchi, cinesi, siriani, anche nepalesi, cittadini di Sri Lanka o Pakistan, nuovi “romeni d’adozione”. Non va meglio in un altro Paese membro Ue, la Bulgaria: qui «la carenza di manodopera specializzata» in atto «aumenterà» in futuro, ha previsto la Ue in un rapporto.
Peggiore lo scenario in altre nazioni fuori dall’Ue. Carenze di lavoratori e “fuga di cervelli” sono nodi comuni «specialmente in Albania, Bosnia-Erzegovina e Montenegro», dice uno studio della European Training Foundation, con la Bosnia che «nel breve e medio periodo sarà colpita in diversi settori» dalla mancanza di lavoratori, ha confermato l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). «Da Belgrado a Sarajevo si osserva già carenza di lavoratori preparati», e i Paesi dell’area «perdono rapidamente il proprio capitale umano, trasferitosi a Berlino», ha confermato Deutsche Welle, emittente di quella Germania sempre più polo d’attrazione per i Gastarbeiter balcanici, bosniaci in testa. E in Bosnia nel 2023 non mancheranno solo tecnici specializzati ma persino camerieri, il mestiere più richiesto e per il quale è più difficile trovare candidati, ha previsto l’Agenzia federale per l’impiego.
Si emigra ancora pure dall’Albania, che secondo la Banca Mondiale resterà interessata da un’ondata di «emigrazione giovanile», causa principale della carenza di manodopera tra il 2022 e il 2030, in un Paese da dove se ne sono andati in quasi 800mila verso nazioni Ue nell’ultimo decennio. Giovani che «hanno il diritto di provare» fuori di casa, ha detto il premier albanese Edi Rama al portale Exit. E rassegnazione è la parola d’ordine anche in Serbia, che ha perso quasi 500mila abitanti dal 2011 secondo i dati provvisori del censimento: a Belgrado si è costretti a far arrivare autisti
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