Dall’Albania fino al Montenegro la piaga degli aborti selettivi

BELGRADO. Il problema, sebbene forse non così marcato come un decennio e passa fa, sottotraccia ancora perdura. E in parti dei Balcani, quelle dove la cultura patriarcale è più forte, per alcuni avere un figlio maschio invece di una femmina rimane ancora oggi quasi un imperativo morale – o un obiettivo da raggiungere con qualsiasi mezzo, perfino ricorrendo all’interruzione di gravidanza. Il fenomeno degli aborti mirati per “selezionare” il maschio, infatti, nei vicini Balcani non si riesce a fermare. Lo ha confermato in questi giorni Manuela Bello, numero uno in Albania dell’Unfpa, il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, da sempre in prima linea nel combattere il cosiddetto “sex-selective abortion”.
L’aborto selettivo
In Albania la questione è particolarmente d’attualità. «Negli ultimi dieci anni il Paese ha “perso” 21mila femmine», ha spiegato Bello all’agenzia Afp. Perso per aborti, perché quando i futuri genitori «vengono a sapere che il feto» nel grembo della madre «è di una femmina, per varie ragioni preferiscono l’aborto», ha aggiunto. Una scelta presa in particolare da famiglie che hanno già figli, ha spiegato l’Unfpa: quasi un quarto delle coppie, appena scoperto il sesso del nascituro, attraverso ormai comuni test del sangue, precisi fino al 90%, quando si tratta di un’altra bimba invece del maschio desiderato decide per l’interruzione.
In Albania 111 maschi ogni 100 femmine
In pratica, ha spiegato l’Afp, basandosi su dati dell’Onu, dal 2000 al 2020 in Albania sono nati in media 111 maschi ogni 100 femmine, un’enormità, dato che in natura il rapporto tra maschi e femmine alla nascita è di 105 contro 100. E si tratta del quarto dato più alto al mondo nel periodo preso in considerazione, dopo Cina – conseguenza della politica del “figlio unico” - e Azerbaigian (115), Armenia (114), appunto Albania e Vietnam (111), seguiti da India (110) e Georgia (109), tutti Paesi dove il fenomeno degli aborti selettivi è stato o è ancora endemico.
Le campagne di sensibilizzazione
Il quadro, va detto, è migliorato negli ultimi quattro anni, anche grazie a campagne di sensibilizzazione, «ma i dati» per l’Albania «rimangono ancora più alti della media biologica di 105 contro 100», ha spiegato l’esperto di demografia Arjan Gjonca, della London School of Economics.
In Montenegro 5 mila bimbe in meno dei maschi
L’Albania non è però un’eccezione, nei Balcani. Basta fare qualche chilometro più a nord, in Montenegro, e il problema degli aborti selettivi ritorna alla ribalta. Secondo dati dell’ufficio di statistica di Podgorica, il Monstat, negli ultimi 15 anni sono state quasi 5mila bimbe in meno rispetto ai maschi, numeri che confermano che gli aborti selettivi continuano, con il solo anno 2016 che ha visto numeri in linea con quelli normali, ha denunciato il quotidiano Vijesti. Differenze così marcate tra maschi e femmine alla nascita «non sono possibili senza un intervento umano», leggi gli aborti, ha confermato l’esperta del tema, Jovana Davidovic. «Le nuove tecnologie, che permettono i test prenatali già all’ottava settimana, portano le donne a ricorrere alla pillola abortiva, anche senza rivolgersi al medico», ha confermato da parte sua Mirko Varjic, medico dell’ospedale di Niksic.
In Kosovo la situazione è migliore
Situazione simile in Kosovo, malgrado recenti miglioramenti, la percentuale di maschi alla nascita rimane più alta. Il «culmine» della denigrazione delle donne «si manifesta nell’incessante desiderio del kosovaro medio di avere un figlio maschio e ci si può spingere fino agli aborti selettivi per raggiungere l’obiettivo», ha confermato anche un inchiesta di New Eastern Europe. È alla fine «un femminicidio, che si manifesta prima che una bambina nasca».
Rapporto sulla Macedonia del Nord
Non fa eccezione la Macedonia del Nord, ha svelato nei mesi scorsi un rapporto del Consiglio d’Europa, in cui si legge che «statistiche indicano che aborti selettivi» continuerebbero a «essere praticati» tra Skopje e Bitola e si invitano le autorità a sensibilizzare la popolazione su questa «pratica discriminatoria». Che non si spegne, malgrado campagne informative e gli appelli al rifiuto della pratica, lanciati proprio dal Coe.
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