Dalla Croazia alla Romania, in crescita la manodopera dall’Estremo Oriente

BELGRADO E se non bastassero gli scambi di lavoratori tra Serbia, Macedonia del Nord e Albania per placare la fame di braccia nei Balcani? Si potrà continuare sulla strada della “importazione” di forza lavoro da Paesi lontanissimi, Estremo Oriente incluso. È questa la tendenza sempre più marcata in tutta la regione, sia negli Stati già membri della Ue sia in quelli ancora in corsa per l’adesione.
Lo confermano svariate tessere di un complesso mosaico che riguarda tutta l’area. Tessere come quelle che arrivano dalla Croazia, nella Ue dal 2013 e prosciugata di forza lavoro, emigrata soprattutto in Germania.
In Croazia nel 2023 la quota di lavoratori stranieri è salita a quasi il 10%, passando dai 130 mila del 2022 ai 200 mila circa dell’anno scorso.
Ma la crescita è «esponenziale» soprattutto per gli asiatici, hanno specificato le associazioni datoriali di Zagabria – che prevedono 500 mila permessi all’anno entro il 2030, 60 mila solo nel comparto turistico la prossima estate. E così, nel 2023, sono stati oltre 50 mila i permessi di lavoro rilasciati a cittadini dall’Asia, di cui 21 mila dal Nepal, 15 mila dall’India, quasi 8 mila dal Bangladesh, con il governo che sta addirittura valutando di piantare nuovi paletti all’arrivo di lavoratori extra-Ue, data l'ampiezza del fenomeno.
Stesso discorso vale per una delle “tigri” produttive dell’Est, la Romania, un tempo mecca delle imprese straniere a caccia di forza lavoro locale a basso prezzo, dove secondo dati della Friedrich-Ebert-Stiftung è stata in fortissimo aumento la crescita di permessi di lavoro rilasciati a extracomunitari tra il 2013 e il 2022. E a fine 2023, da stime del portale Economica, erano oltre 74 mila quelli presenti tra Bucarest e Timisoara, dei quali quasi il 50% originari di Nepal e Sri Lanka.
L’arrivo di forza lavoro da migliaia di chilometri di distanza sta però diventando un fatto naturale anche in luoghi sulla carta poco attrattivi, soprattutto per i bassi salari, come la Bosnia-Erzegovina.
Sono più di trecento solo i cittadini del Bangladesh che operano nel comparto dell’edilizia, con salari che si aggirano ora intorno ai 600 euro, con altre centinaia di immigrati attesi nel corso dell’anno per coprire vuoti di manodopera in grandi progetti infrastrutturali, soprattutto nel nordest. E addirittura migliaia quelli che invece lavorano e vivono in Serbia.
Non sono solo i cinesi impiegati nel settore minerario e nella costruzione di infrastrutture, in testa autostrade e la ferrovia verso Budapest. Ma anche indiani e bengalesi, che ormai “monopolizzano” i posti da autista sugli autobus della capitale.
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