Cittadini cancellati da Lubiana: «Dopo le scuse serve una legge»

Amnesty sulle 25mila persone di altre ex repubbliche jugoslave rimaste senza cittadinanza con lo Stato indipendente
Stefano Giantin

LUBIANA. Scuse ufficiali, passi istituzionali anche di grande significato, e monumenti hanno un peso rilevante. Ma non bastano. E c’è chi non dimentica e continua a denunciare l’ingiustizia, chiedendo che finalmente si metta una pezza risolutiva - e concreta - a una questione non ancora del tutto risolta, che si trascina da più di trent’anni. La questione riguarda gli “izbrisani”, le persone “cancellate” dalla Slovenia indipendente nel 1992: oltre 25mila cittadini di altre ex repubbliche jugoslave ma con status di residenti nel Paese, che furono letteralmente fatte sparire dalle liste di residenza dopo che non avevano fatto in tempo utile la richiesta di cittadinanza slovena a seguito della dichiarazione di indipendenza.

Un caso rimasto aperto

Dopo 32 anni il caso è tutt’altro che chiuso. Lo ha denunciato Amnesty International, prima in un breve capitolo dedicato alla Slovenia nell’ultimo Rapporto sullo stato dei diritti umani nel mondo e poi con ulteriori pesanti accuse lanciate dal braccio sloveno di Amnesty. Rapporto in cui, nel paragrafo «discriminazione» dedicato a Lubiana, si ricorda proprio il caso degli “izbrisani”, segnalando che «più della metà di 25mila cancellati non sono stati in grado di ripristinare il loro status di residenti o di ricevere risarcimenti dallo Stato», malgrado ripetute promesse.

Una legge ad hoc

Certo, ha ammesso Amnesty, sono stati fatti passi avanti. Il più importante, nello scorso ottobre, la presentazione da parte della presidente slovena Nataša Pirc Musar «di una legislazione che possa restituire la residenza ai cosiddetti cancellati». Ma cosa è successo, dall’autunno del 2023 a oggi? Secondo i ricercatori di Amnesty in Slovenia, poco o nulla. Le norme per la restituzione della residenza introdotte in passato «sono piene di falle» e, di fatto, ancora «non esiste alcuna via legale» che permetta ai cancellati di ottenere giustizia, ha spiegato Amnesty Slovenia. E non si tratta di pochi casi. Solo questo mese «è morto» un altro “cancellato” che, «malgrado anni di battaglie legali, non era riuscito a riconquistare la residenza». E di recente «abbiamo parlato con 14 persone», ha svelato sempre Amnesty, che «da più di 32 anni vivono in Slovenia senza un permesso di residenza», appunto perché cancellati dalla burocrazia nel 1992.

Le scuse per l’atto illegale

Cosa fare? Non bastano, anche se furono importanti simbolicamente, le scuse offerte nel 2022 dall’allora presidente Borut Pahor «per l’atto illegale di cancellazione di 25.671 persone». Non è più sufficiente neppure l’attestazione, da parte della Consulta di Lubiana e della Corte europea dei diritti dell’uomo, che quell’iniziativa del 1992 fu una grave discriminazione. La riparazione al grave torto è tuttavia relativamente semplice ed è pronta da mesi. È la legge, sviluppata da Ong come la stessa Amnesty, dal Peace Institute e dall’Iniziativa Civica a favore degli “izbrisani” che, affidata nelle mani di Pirc Musar, è stata consegnata dalla presidente slovena al premier Robert Golob a fine ottobre 2023, nel giorno in cui fu inaugurato un memoriale dedicato ai cancellati nel cuore di Lubiana. Le norme, ricordiamo, sono estremamente lineari: se approvate, prevedono che un cancellato che chiede il ripristino della residenza se la veda concedere senza ritardi e condizioni, un processo che non deve avere scadenze e che va esteso anche ai figli degli izbrisani, a prescindere da dove sono nati.

Nulla si è ancora mosso

Ma da ottobre a oggi nulla si è mosso. «Siamo offesi che, a sei mesi dalla presentazione della legge al governo» non sia stato fatto nulla, ha dichiarato Amnesty, segnalando che un incontro sul tema con il ministro degli Interni Poklukar è stato cancellato con un giorno di preavviso e rimandato, forse, a fine maggio. Ma «ogni ulteriore ritardo nell’introduzione della legge significa prolungare la sofferenza delle persone».

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