Centrali elettriche inquinanti e obsolete, «Allarme black-out» nei Balcani

Il Ceps: massiccio uso di lignite, impianti vecchi di decenni. Le emissioni nocive e i rischi per la salute pubblica

Stefano Giantin

BELGRADO. Non solo super-inquinanti e obsolete, alimentate dal peggior combustibile sul mercato dal punto di vista ambientale, la lignite; ma anche a rischio di gravi guasti. O addirittura vicine a chiusure forzate, causa la vetustà degli impianti. E i Balcani, in un futuro non lontano, rischiano di finire al buio. È la previsione che riguarda le centrali elettriche balcaniche lanciata dal Centre for European Policy Studies (Ceps), uno dei maggiori think tank europei, con sede a Bruxelles ma con un occhio di riguardo alla regione balcanica ancora fuori dalla Ue. Regione che ha tanti problemi, politici, sociali e economici. Più uno, altrettanto serio ma poco noto: l’energia.

È questo quanto si legge in un briefing del Ceps dedicato alla produzione di energia elettrica nei Balcani occidentali, un fronte caldo perché «il settore energetico» balcanico sarebbe ormai «vicino al collasso», ha messo nero su bianco il Centro. Le ragioni? Varie e complesse, con potenziali grandi ricadute sulla stessa Ue. «Circa due terzi dell’elettricità nei Balcani occidentali è generata attraverso la lignite», il carbone più “sporco” e di bassa qualità, ma assai economico perché disponibile nell’area, in particolare in Serbia e in Bosnia-Erzegovina. Il problema è che la lignite, che comunque è sempre di meno e di dubbia qualità, alimenta «centrali che operano da più di 40 anni», quando ancora la Jugoslavia esisteva e la sensibilità verso clima e riscaldamento globale erano assai diverse da oggi. Centrali che in gran parte sono vicine o hanno superato il “fine vita” e «non possono lavorare alla capacità stabilita ancora a lungo», ha specificato il Ceps, aggiungendo che il tema riguarda anche molti dei sistemi cittadini di teleriscaldamento, spesso alimentati a carbone.

I Balcani, presto o tardi, potrebbero rimanere al buio e al freddo. Quali i fronti più caldi? Praticamente tutti, nei Balcani, spiega un altro studio, reso pubblico di recente da Bankwatch Network. Le centrali super-inquinanti e obsolete, malgrado lavori di modernizzazione effettuati e in programma, sono comuni. C’è ad esempio Pljevlja, in Montenegro, in servizio dal 1982 e che sarà “rallentata” solo nel 2025 in vista di una «ristrutturazione ecologica», ha assicurato di recente il ministro dell’Energia montenegrino, Saša Mujović. C’è poi la “bomba” inquinante di Kosovo B, poco distante da Pristina, aperta nel 1983. E non si possono dimenticare le centrali inquinanti alimentate a carbone in Bosnia, da Tuzla a Kakanj e Gacko, che nel 2022 hanno emesso 183mila tonnellate di So2, superate solo dalla Serbia, con 262mila tonnellate e un aumento delle emissioni nocive rispetto al passato. Numeri che, è ormai risaputo, nascondono enormi problemi di salute pubblica, con «l’ambiente rapidamente degradato, minacciate le foreste, aggravamento dell’inquinamento» e decessi, ha ricordato il Ceps, segnalando che ormai è notizia quotidiana quella di centrali «che non possono più andare alla massima potenza e i guasti sono la norma».

Il Ceps ha fatto anche altre previsioni. Cercare di “modernizzare” le vecchie centrali non avrebbe senso, perché i Balcani comunque andrebbero a sforare i limiti sulle emissioni previsti dal Trattato sulla Comunità europea dell’energia, che son tenuti a rispettare.

Intanto bisogna anche vigilare sui capitali «cinesi e russi» che fanno gola ai Balcani ma si accompagnano a pesanti «interferenze» politiche. Soluzioni? Anche su questo fronte la risposta è più Europa. Con l’Ue che dovrebbe distribuire miliardi nella regione – una ventina - già prima dell’adesione, per rompere la dipendenza dalla lignite e puntare su fonti di energia più pulite - solare, eolico, geotermale in testa.

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