Boom di cifre, sulla Serbia cala l’ombra dell’export sospetto verso Mosca

Un’inchiesta accende un faro sui prodotti sotto sanzione occidentale inviati in Russia dal 2022 da alcune imprese

Stefano Giantin
Una manifestazione pro russa a Belgrado
Una manifestazione pro russa a Belgrado

BELGRADO Inizialmente voci diffuse, poi le prime conferme a cui ne seguono altre, sempre più autorevoli. Che corroborano lo scenario di un Paese balcanico - la Serbia, che aspira all’ingresso nella Ue - che oltre a essersi rifiutato di imporre sanzioni contro la Russia sarebbe diventato una “piattaforma” per aggirarle, rifornendo Mosca anche di beni utili allo sforzo bellico.

È quanto ha sostenuto un’inchiesta di Radio Slobodna Evropa (Rse), che analizzando i database sul commercio estero e sulle esportazioni ha rilevato che una serie di aziende con sede in Serbia hanno inviato in Russia, a partire dal febbraio del 2022, prodotti sotto sanzioni occidentali per un valore di almeno 70 milioni di dollari. E non si tratta di prodotti di uso comune, ma di equipaggiamenti classificati come «alta priorità» in merito alle sanzioni sia da Bruxelles sia da Washington, proprio perché utilizzabili anche per fini militari. Si tratta di tecnologia cosiddetta “dual use”, ossia dal possibile doppio uso, sia per attività economiche civili sia belliche.

Nella lista delle imprese sospette redatta da Rse se ne trova una specializzata negli anni passati in componentistica per auto e trattori, ma che dal 2022 avrebbe registrato un vero boom nell’export, verso Mosca, riciclandosi nel settore della tecnologia, in particolare microchip, processori e cavi digitali, un business che ha portato all’esplosione dei profitti dell’azienda l’anno scorso. Peccato, ha ricordato Radio Europa Libera, che i prodotti in questione siano tutti sottoposti a sanzioni occidentali, perché utilizzati e utilizzabili anche in armamenti usati contro l’Ucraina dall’esercito russo.

A rendere ancora più pesante il quadro, il fatto che i compratori russi dei prodotti dell’azienda serba siano imprese come quelal che, colpita da misure punitive Usa, avrebbe comunque ricevuto via Serbia anche merce «made in Occidente». Rse ha individuato almeno un’altra società serba che solo dall’ottobre 2022 al luglio di quest’anno ha esportato in Russia prodotti ad alta tecnologia nel mirino di Ue e Usa per un valore di 18 milioni di dollari.

E sarebbe solo la punta di un iceberg. Già nei mesi scorsi era emersa un’altra misteriosa azienda serba che avrebbe esportato materiali vietati da Ue e Usa in Russia invece che frutta e verdura, mentre a giugno il Dipartimento di Stato americano si era mosso sanzionando un’altra ditta con sede a Belgrado, la Mci Trading, accusata di fungere da intermediaria nelle complesse triangolazioni praticate per far arrivare materiali hi-tech occidentali in Russia.

L’iceberg potrebbe essere ben più imponente di quanto si immagini, anche per la forte presenza di russi in Serbia. Secondo uno degli studi più approfonditi sul tema, «Cash is King», del Center for the Study of Democracy (Csd), sono più di 5mila le imprese registrate da cittadini russi in Serbia che offrono «terreno fertile» non solo per «riciclaggio di denaro», ma anche per «aggirare le sanzioni» internazionali contro Mosca. Non ci sarebbe però solo la Serbia fra i possibili buchi neri. Secondo lo studio l’Ue avrebbe individuato in «Emirati Arabi, Turchia, Armenia, Georgia, Kazakistan, Kirgizistan» e «i Balcani» le rotte «per aggirare» le sanzioni.

Di certo le nuove rivelazioni metteranno in difficoltà soprattutto Belgrado. In particolare dopo che l’Ue, nell’ultimo rapporto sull’allargamento, ha ricordato alla Serbia la sua promessa di «adottare azioni concrete per evitare la possibilità che le misure restrittive Ue» contro Mosca «vengano aggirate via territorio serbo da entità registrate» nel Paese balcanico. —

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