Ampliamento Ue a Est la grande disillusione: «Il traguardo al 2030 è troppo lontano»

LUBIANA L’Ue rilancia il processo di allargamento ai Balcani, indicando persino una data più o meno certa – intorno al 2030 – come termine per il compimento dell’opera. Ma i Paesi balcanici interessati reagiscono con freddezza, svelando quanto profondi siano ancora i problemi da risolvere. E quanto diffusa è ormai, nella regione, la disillusione verso l’Europa che conta.
Possono riassumersi così le repliche dei leader balcanici alle aperture arrivate dal Forum di Bled da parte del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Dal palco del meeting organizzato in Slovenia, padrone di casa il premier Robert Golob, Michel - lo ricordiamo - ha annunciato che tanto l’Ue quanto i Balcani extra-Ue dovrebbero farsi «trovare pronti» per una nuova fase dell’allargamento «entro il 2030», avvisando tuttavia che bisogna accelerare sulle riforme. E che Bruxelles non potrà tollerare di accogliere nuovi membri che non abbiamo prima risolto tutte le contese bilaterali, all’insegna della «riconciliazione»: un chiaro riferimento soprattutto a Serbia e Kosovo.
Ma c’è il rischio concreto che quello di Michel rimanga un pourparler, l’ennesima ambiziosa promessa destinata a cadere nel vuoto. Lo confermano ad esempio gli accesi scambi visti proprio a Bled tra la premier serba Ana Brnabić e il suo omologo kosovaro Albin Kurti. «Kosovo e Serbia sono una cosa sola», un unico Paese, ha sostenuto la leader di Belgrado, ricordando che Pristina è ancora fuori dalle Nazioni Unite e che difficilmente potrà entrare nella Ue finché ci saranno Stati membri – oggi sono cinque, Spagna, Slovacchia, Cipro, Grecia e Romania – che non la riconoscono. La Serbia è sempre quella degli Anni Novanta, ha replicato da parte sua Kurti ricordando che Pristina «ha una percentuale di pro-Europa al 94%, abbiamo imposto sanzioni contro la Russia a differenza della Serbia, che non ha preso le distanze né da Milosevic né da Putin». E aggiungendo che la Serbia non saprebbe distinguere tra «fantasia e realtà», ovvero non comprenderebbe che l’indipendenza del Kosovo, auto-dichiarata nel 2008, è ormai un fatto compiuto.
Fendenti reciproci che fanno intuire che una normalizzazione dei rapporti bilaterali appare ancora una chimera, rendendo irrealistico immaginare Belgrado e Pristina nella Ue tra soli 5-6 anni. «Ma noi aspettiamo da venti» e la gente è «stanca», ha sottolineato ancora Brnabić, un’affermazione confermata dal calo costante dei pro-Ue in Serbia, oggi al 43%, contro un 32% di contrari, secondo gli ultimi sondaggi del ministero per l’Integrazione europea. La Serbia, ha aggiunto Brnabić, si sente come una ragazzina alla quale viene detto «che la tua gonna è troppo lunga, cambiati. E poi una volta cambiata, che è troppo corta». Ovvero, l’Unione non è mai soddisfatta.
Scettico si è detto però pure il premier albanese Edi Rama, che ha suggerito che in Albania c’è una “scorta” di altri «vent’anni di euro-ottimismo e spero che manterrete le vostre promesse» in quel lasso di tempo, altro che 2030.
E poi c’è il problema dei ritardi accumulati, non solo sul fronte dell’integrazione ma anche su quello, ad esempio, delle infrastrutture che nei Balcani vengono «costruite da americani, cinesi e arabi», con l'Ue che arranca. Il 2030 «è troppo lontano», ha affermato da parte sua il premier montenegrino uscente, Dritan Abazović, facendo notare che i Balcani devono essere visti come un’opportunità. Sulla stessa linea il premier della Macedonia del Nord Dimitar Kovačevski, che ha stigmatizzato la lentezza del processo iniziato quando «eravamo ancora Macedonia e il Montenegro e il Kosovo non erano indipendenti».
Ma c’è chi è andato oltre, come il leader nazionalista e filorusso serbo-bosniaco Milorad Dodik, che ha consigliato alla Bosnia di guardare all’ingresso nei Brics, più realistico di quello promesso dalla Ue. E con queste premesse, il 2030 rischia di diventare l’ennesima fatamorgana.
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