Opere incompiute e non solo: i rischi del dopo-Olimpiadi a Cortina
Solo 3 dei 25 cantieri previsti saranno conclusi in tempo per l’avvio dei Giochi. L’impressione è che non mancheranno debiti e polemiche

L’importante è partecipare, ci ha spiegato De Coubertin, padre delle moderne Olimpiadi. Sacrosanto, ma con una doverosa aggiunta: anche il come conta. Cortina ha raggiunto il primo obiettivo nel 2019, aggiudicandosi i Giochi invernali 2026, peraltro dovendo misurarsi con un solo modesto avversario; non sarà così per il secondo, al quale tra meno di due mesi si presenterà con la tara di urticanti incompiute.
Il severo monitoraggio presentato mercoledì da Ance Veneto non è che la conferma di altre autorevoli certificazioni: dal portale Open di Simico, la società cui fa capo la realizzazione delle opere olimpiche; a Kpmg Advisory su incarico della Regione Veneto. Il quadro è inequivocabile. Solo 3 dei 25 cantieri previsti saranno conclusi in tempo per l’accensione della fiaccola; addirittura 7 sono tuttora su carta, in fase di progettazione; dei rimanenti, appena 4 su 10 chiuderanno con l’avvio dei Giochi. Il resto arriverà solo tra anni: con ritardi che si sommano a quelli già accumulati in occasione dei mondiali 2021, sempre assegnati a Cortina ma in totale assenza di concorrenti, e dopo quattro tentativi andati a vuoto. Il tasto più dolente è la viabilità: le due varianti-chiave, Longarone e Cortina, vedranno la luce solo tra il 2029 e il 2032.
Per raggiungere Cortina da Ponte nelle Alpi durante le gare viene calcolata una media di 30 chilometri all’ora, quindi un’ora e tre quarti per coprire il percorso; ma gli esperti la ritengono una valutazione ottimistica. E comunque, anche una volta sbarcati il calvario sarà tutt’altro che concluso: la cabinovia Socrepes, se anche verrà portata a termine (tutto da dimostrare) rimarrà senza parcheggio, costringendo a ricorrere a un servizio navetta da Acquabona, fuori dal centro cittadino.
E per finire, i posti auto previsti nei park dell’area, tutti a pagamento, sono 3.700, per un pubblico previsto nelle giornate clou tra le 20 e le 40mila unità. A questa Caporetto degli accessi si accompagnano le dolenti note sugli impianti. Lo storico trampolino dell’edizione 1956 con tanto di braciere olimpico verrà aperto in chiave rabberciata, e sarà completato soltanto a metà giugno. Il villaggio olimpico tirato su in fretta e furia ispira la tristezza delle grigie colonie estive dell’immediato dopoguerra; al punto che le discesiste americane e italiane hanno deciso di disertarlo, sistemandosi negli alberghi.
Sulla pista da bob, pur ridotta in versione bonsai dopo le polemiche iniziali, pesa l’incognita dei costi di gestione, con una perdita comunque già certificata in 12 milioni per i prossimi vent’anni, a fronte di una previsione iniziale di pareggio al quinto anno di attività: con l’incubo evocato dal sindaco di Cortina di spedire in bancarotta il Comune, sul quale ricade l’onere. Si aggiunga la scottante denuncia di Fabio Saldini, commissario straordinario del governo e ad di Simico: «A Cortina la situazione si è rivelata più complessa che altrove; e ho ricevuto numerosi messaggi, a volte con contenuti inaccettabili».
Spenta la fiamma olimpica, si spegneranno pure gli echi dei troppi autoapplausi riversati sui Giochi 2026 per le Olimpiadi più sparse della storia (scelta criticata dallo stesso Saldini), disseminate in otto comuni di tre regioni, all’insegna del più deteriore campanilismo italico. Resteranno polemiche, incompiute, e soprattutto debiti: dal miliardo e mezzo di costi stimati all’inizio si è già arrivati a sfiorare i sei. Lasciando a Cortina, più che l’immagine olimpica, quella associata a suo tempo al mitico ragionier Fantozzi.
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