Manifattura e servizi, il Nord Est alla sfida dell’innovazione integrata
L’esempio virtuoso e previdente della Cina: l’industria si reinventa investendo sull’hi-tech e aumentando reddito e consumi delle famiglie. È una logica alla portata del Veneto


Negli ultimi cinquant’anni il Veneto ha costruito la sua crescita economica puntando sulla manifattura. L’abbondanza di capacità imprenditoriali, la flessibilità della forza lavoro – ben rappresentata dai “metalmezzadri” di Ulderico Bernardi – e la presenza diffusa di centri urbani storici hanno favorito la nascita e la crescita di distretti produttivi specializzati. Questi distretti hanno consentito al Veneto di imporsi anche se late comer nel mercato europeo, nonostante il contesto globale iniziasse già a spostarsi verso produzioni post-manifatturiere.
Un modello in crisi
Oggi quel modello mostra evidenti segni di affaticamento.
Le difficoltà, messe in risalto dal prolungato calo dei fatturati industriali negli scorsi 20 mesi, sono sì la conseguenza di costi energetici elevati, della crisi dell’automotive, della debolezza dell’industria e del mercato tedesco, dello scaricarsi delle tensioni geopolitiche sulle catene di fornitura, e così via.
Ma la crisi ha radici più profonde, strutturali e inarrestabili. Man mano che il reddito pro capite cresce, la domanda si sposta progressivamente dai beni ai servizi, riducendo così il peso della manifattura. La concorrenza si fa più agguerrita sia nei mercati sviluppati sia in quelli emergenti, che tendono ad autosoddisfare la propria domanda.
In tale contesto, solo chi sa ottenere rapidi guadagni di produttività – oggi possibili anche grazie all’ibridazione digitale dei processi produttivi – riesce a sopravvivere. Ma l’aumento della produttività tende a ridurre l’occupazione e, per tradursi in vantaggio competitivo, anche a contrarre i prezzi dei prodotti, abbassando il valore aggiunto del settore.
I dazi di Trump
La difesa Usa della propria base manifatturiera, coi dazi voluti da Trump, aggiunge un’ulteriore causa - per quanto sovrastrutturale - di redistribuzione della produzione manifatturiera a nostro svantaggio.
Si apre dunque un interrogativo di fondo: ha senso difendere a oltranza lo status quo, perfino sognando una reindustrializzazione, oppure è meglio gestire una deindustrializzazione ormai innescata?
La risposta è centrale e dovrebbe essere al cuore di ogni piano o politica industriale – europea, nazionale, regionale – che anche gli stessi industriali reclamano, consapevoli che le soluzioni ai problemi possono arrivare più dall’esterno che dall’interno della fabbrica. Risposte che tardano a venire dall’Ue, non particolarmente centrate, quelle nazionali, e assenti quelle regionali.
L’esempio cinese
Per trovare spunti utili alle risposte, vale la pena seguire il dibattito in corso in Cina, Paese che, pur dominando i mercati globali con i propri prodotti industriali, da anni riflette sulla necessità di passare dalla manifattura ai servizi.
Nel tredicesimo piano quinquennale (2016-2020) la Cina aveva l’obiettivo di aumentare la quota dei servizi nel Pil dal 50,5% del 2015 al 56% nel 2020. Tuttavia, con il quattordicesimo piano (2021-2025) tale traguardo è stato abbandonato, preferendo invece puntare a mantenere stabile il peso della manifattura. Il prossimo quindicesimo piano (2026-2030), che verrà annunciato a giorni e approvato tra qualche mese, sembra voler superare il dilemma, puntando a un «aggiornamento dell’industria manifatturiera accanto ai servizi».
L’approccio cinese suggerisce di non spostare solo risorse da un settore all’altro, ma di favorire una profonda integrazione tra produzione avanzata e servizi moderni.
Per la manifattura, “aggiornarsi” significa abbandonare produzioni a basso costo e basso margine, quelle con le quali aveva conquistato i mercati negli scorsi vent’anni, in favore di attività ad alto valore aggiunto, investendo in tecnologie avanzate come AI, robotica e automazione.
Investimenti cruciali per aumentare produttività ed efficienza in comparti strategici – dai semiconduttori alle attrezzature aerospaziali, dai veicoli a nuova energia ai prodotti medicali avanzati – risalendo così la catena del valore.
Nel settore dei servizi, invece, la strategia “parallela” consiste nell’integrare sempre più strettamente i servizi con la manifattura, favorendo la “servitizzazione” della produzione manifatturiera che aumenta il valore dei prodotto, puntando alla digitalizzazione delle catene di approvvigionamento e delle relazioni con i clienti, e, soprattutto, creando un ecosistema industriale ricco di servizi logistici, finanziari, di ricerca e sviluppo, in grado di sostenere l’innovazione continua della manifattura. L’obiettivo finale è estendere all’intero Paese quanto già raggiunto nei distretti di Shenzhen-Hong Kong-Guangzhou, Pechino e Shanghai-Suzhou, che occupano oggi il primo, quarto e sesto posto mondiale dei maggiori Innovation cluster del mondo.
La sfida: costruire un’economia sofisticata
La sfida è costruire un’economia sofisticata e tecnologicamente avanzata, dove una manifattura hi-tech e un settore dei servizi robusto e integrato si sostengano e alimentino a vicenda. Crescita di servizi innovativi che contribuisce poi ad aumentare reddito e consumi delle famiglie, ampliando il mercato interno per beni di qualità superiore prodotti da industrie aggiornate.
La chiave per una reindustrializzazione di successo sta nella costruzione di un’economia dei servizi che non si limiti a sviluppare i pur utili servizi alla persona o a puntare sulla rendita turistica – tentazione forte in Veneto – ma favorisca investimenti e innovazione.
Per sviluppare un ecosistema di servizi hi-tech, serve concentrarsi, lo ripete sovente il governo della Gran Bretagna, sul rafforzamento di sei tipologie di capitale: fisico, intangibile, umano, finanziario, sociale e istituzionale. La maggior parte dei quali a responsabilità pubblica. Sei capitali che producono il massimo effetto positivo se interagenti in un ambito territoriale funzionalmente collegato.
L’Italia nella classifica degli Innvation cluster mondiali è presente con Milano (56.mo) e Roma (82.mo). Nel Nord Est un ecosistema comparabile, fatte le debite proporzioni, trova il potenziale inespresso nell’area tra Padova, Castelfranco, Treviso e Venezia: grande polo urbano che potrebbe diventare il principale luogo di interazione tra industria hi-tech e servizi avanzati. È qui che si gioca la sfida futura per il Veneto e il Nord Est. —
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