Una nuova politica territoriale per attrarre i giovani in Veneto
Stanno per nascere in Veneto i nuovi Ats, ovvero Ambiti territoriali sociali. Da ora in avanti è necessario concepire le politiche sociali non più come costo, ma come investimento collettivo e i Comuni vanno sostenuti nel percorso costituente

In quanti sanno che in Veneto si sta attuando, sottotraccia, una delle più importanti riforme per lo sviluppo regionale? I servizi alla persona stanno per essere ridisegnati infatti dando centralità ai nuovi Ats – Ambiti Territoriali sociali, e quindi ai Comuni in forma associata, superando la dimensione settoriale, per diventare politiche di sviluppo territoriale, mettendo al centro il benessere delle persone e delle comunità.
In questa nuova prospettiva le politiche sociali e alla persona non sono più da considerare, insomma, come meri strumenti di integrazione del reddito, e quindi come costo che si può tagliare nei momenti di crisi ma, al contrario, sono da considerare come veri e propri asset strategici, capaci di incrementare l’attrattività e la competitività di un territorio, tanto più in un contesto in cui le agenzie sociali tradizionali, come la famiglia, la parrocchia, la scuola hanno perso la loro capacità di generare integrazione sociale. Un sistema integrato di servizi di qualità può infatti contribuire ad attrarre nuovi residenti, trattenere talenti, stimolare l’innovazione e favorire la coesione sociale, anche interculturale.
In questa prospettiva, le politiche sociali e la qualità dei servizi alla persona costituiscono allora un importante vantaggio competitivo e un fattore sempre più decisivo per l’attrattività dei territori: è proprio la presenza di una rete di servizi sociali di qualità a favorire le nascite, contrastando e mitigando l’invecchiamento demografico, a garantire pari opportunità, a prendersi cura di tutte le persone (non solo quelle bisognose) lungo tutto l’arco della vita, generando comunità coese e sostenibili.
Per compiere questa svolta, è necessario concepire però le politiche sociali non più come costo, ma come investimento collettivo. In questa prospettiva la costituzione degli Ats che sta vedendo impegnati oggi tutti i Comuni del Veneto, può costituire davvero una grande opportunità. La Legge regionale 9/2024 inaugura infatti una nuova stagione per le politiche sociali e per i Comuni del Veneto che ora sono chiamati a farsene carico direttamente, superando la logica della delega alle Aulss, e a farlo per di più in forma associata intercomunale, con l’obiettivo di garantire i Livelli Essenziali di Prestazione Sociale (Leps) attraverso servizi di prossimità.
Si tratta di una sfida epocale per tutti i Comuni del Veneto, tradizionalmente segnati dalla delega per la gestione dei servizi sociali (di competenza comunale), prima alle parrocchie (si pensi agli asili, ancora oggi perlopiù parrocchiali, soprattutto nei piccoli centri), poi all’Ulss (con la doppia S), a cui era stato affidato il compito di garantire l’integrazione dei servizi, attraverso i Piani di zona dei distretti sociosanitari.
In sostanza i Comuni del Veneto, caratterizzati ancora oggi dalla propensione alla spesa pubblica tra le più basse d’Italia (con eccezione di alcuni comuni capoluogo), non hanno mai acquisito una prassi amministrativa di programmazione e gestione dei servizi, tanto più se in forma associata, a causa del prevalere di un modo di regolazione “bianco”, di matrice cattolica, che affidava all’autoregolazione sociale del mercato e al Terzo settore la produzione dei servizi alla persona.
Anche per questo, l’attivazione degli Ats in Veneto, a differenza di altre regioni italiane, è arrivata con oltre vent’anni di ritardo rispetto alle indicazioni della legge 328/2000, e sta generando in Veneto non poche resistenze al cambiamento, perché obbliga a modificare profondamente proprio il modo di regolazione tradizionale “bianco”, ancora persistente, affidando adesso (e restituendo) direttamente ai Comuni il compito di programmare e gestire i servizi sociali di prossimità.
Per queste ragioni, in Veneto più che altrove, i Comuni hanno bisogno di essere adeguatamente accompagnati in questo percorso costituente, che richiederà necessariamente tempi più lunghi di quelli immaginati dalla normativa regionale e un forte investimento su nuove professioni, con competenze in coprogettazione e management di rete. Si tratta di un cambiamento cruciale, di cui non sembra esserci davvero consapevolezza, che dovrebbe essere invece al centro dell’agenda politica per lo sviluppo regionale, soprattutto in vista delle prossime elezioni regionali: un tema di cui non possono affatto farsi carico solo i Comuni, neanche in forma associata.
È di fondamentale importanza, quindi, superare la visione settoriale che concepisce ancora lo sviluppo guardando solo alle politiche economiche, dimenticando il fatto che, soprattutto per i contesti caratterizzati da un tessuto produttivo di piccole imprese, dove il welfare aziendale è un’eccezione, se i territori non sono dotati di servizi alla persona, anche il tessuto produttivo viene fortemente deprivato.
Mettere al centro il benessere territoriale significa, infatti, mettere in rete i servizi di welfare pubblico con quelli del welfare aziendale e di comunità, in una prospettiva territoriale, integrata e sostenibile.
* Coordinatrice Hub di Competenze per il Benessere territoriale, Università di Padova
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