Poveri di futuro, poveri nel futuro: perché i giovani sono in fuga dal Nord Est
Under 24 in calo da 70 anni, saldo migratorio dei talenti drammatico in Veneto e Fvg. Retribuzioni basse, precarietà e scarsa attrattività frenano la crescita. Urgenti politiche nazionali e territoriali

Poveri di futuro, poveri nel futuro. La ricerca del Cnel sulla fuga dei cervelli, proposta in questi giorni, è solo l’ennesima conferma di un’autentica pandemia economica e sociale già ampiamente documentata da numerosi studi: l’Italia sta subendo un’inarrestabile emorragia di giovani (200mila solo lo scorso anno) che devasta la risorsa più preziosa di un Paese, la materia grigia. Con un’aggravante nefasta: ad andarsene sono i più preparati, figli di un Settentrione dove pure il lavoro non manca. E in questa deriva il Nord Est è l’area più colpita dal fenomeno, che ne sta pagando un prezzo salato.
Non è una catastrofe piovuta dal cielo, i segnali li abbiamo sotto gli occhi da tanti, troppi anni. È dal remoto 1952 che gli under 24 in Italia sono in sistematico calo: da allora fino al 2024, la diminuzione è stata del 37 per cento. La serie storica presenta un trend da allarme rosso soprattutto tra Veneto e Friuli Venezia Giulia: prendendo in considerazione i laureati, vale a dire la punta di diamante dell’esodo, tra il 2011 e il 2024 la percentuale di quelli che se ne sono andati è passata a Padova dal 19 al 66 per cento; a Venezia dal 18 al 61; a Treviso dal 22 al 59; a Belluno dal 18 al 59; a Udine dal 17 al 60; a Pordenone dal 12 al 54; a Trieste dal 5 al 61. A rendere più urticanti questi numeri, concorre un altro deficit tipicamente nordestino: per dieci che se ne vanno, metà ne arrivano da fuori. Negli ultimi dieci anni, il Friuli Venezia Giulia ha perso 7.500 laureati, il doppio di quelli giunti dall’estero; per il Veneto il rapporto è addirittura di un ingresso per dieci uscite.
Siamo i peggiori nell’intero nord. Perché se è vero che l’esodo coinvolge tutte le regioni, quelle nordestine sono le uniche a presentare un saldo negativo: Lombardia ed Emilia riescono ad attrarre più cervelli di quelli che scelgono di andarsene, grazie a un’azione corale che accomuna economia e politica. Il sistema emiliano, per proporre un significativo esempio, può contare su una legge regionale per attrarre e trattenere talenti, approvata all’unanimità dai partiti; in casa nostra, si litiga e ci si divide su qualsiasi tema dal grande al piccolo, a prescindere. È un vizio cui si aggiungono retribuzioni più basse, precariato più alto, scarso raccordo tra università e territorio, stimoli di carriera più ridotti, condizioni di vita meno attrattive.
Ma poiché la questione è nazionale, nazionale non può che essere la risposta, pur con le dovute integrazioni locali: occorrono politiche di ampio respiro, non limitate al terreno dell’economia. C’è al riguardo una significativa recentissima ricerca di Wpp (multinazionale britannica di ricerche di mercato) e Thea Group (società di consulenza e formazione): non esiste “un’impresa nel deserto”; bisogna anche rendere attrattivi i territori, per consentire ai giovani di conciliare tempi di lavoro e tempi di vita: investendo nel sistema formativo, nelle politiche abitative, nel sistema dei servizi, a partire da quelli sanitari e sociali. Sono tutti settori in cui il Veneto presenta criticità, che la legislatura appena decollata è chiamata a sanare; dovendo peraltro fare i conti con un bilancio risicato e con una burocrazia ipertrofica.
Dal Nord Est all’intero Paese, non è più tempo di accorati lamenti e di indignate denunce: dal sistema politico a quello delle imprese, servono fatti concreti, basati sulla capacità di pensare al futuro. Per non sprofondare tutti assieme nella palude di un grigio presente.
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