La verità alternativa di Trump minaccia la scienza e la democrazia
Tagli alla ricerca sull’mRNA, licenziamenti politici e l’ideologia dei “fatti alternativi”: così gli Stati Uniti mettono a rischio la salute pubblica e l’informazione libera


Diciamolo chiaro, non c’era da aspettarsi niente di diverso da quel Robert Kennedy Junior, che The Donald ha nominato ministro della sanità degli Stati Uniti. Puntuale è arrivato il taglio di circa mezzo miliardo di dollari, fondi che dovevano finanziare ricerche importanti su nuovi farmaci vaccinali basati sulla tecnologia mRNA. Che ha consentito durante la pandemia da Covid di realizzare i vaccini di nuova concezione: quei preparati hanno salvato milioni di vite, con buona pace della propaganda no-vax sempre contestata e contrastata, dati alla mano, dalla comunità scientifica internazionale.
Inutile dire che questa medesima comunità è oggi molto preoccupata per queste scelte dell’amministrazione Usa, ormai uscita anche dall’Organizzazione mondiale della Sanità. Di fronte alla pandemia prossima ventura (probabilmente quella da virus dell’aviaria) saremo più indifesi. Senza contare che la tecnologia mRNA starebbe dando risultati molto promettenti per molti altri ambiti della ricerca medica.
Ma c’è di più. L’ineffabile presidente degli Stati Uniti ha licenziato, la scorsa settimana, Erika McEntarfer, direttrice dell’Agenzia governativa responsabile delle statistiche sull’andamento dell’occupazione nel Paese, perché i dati non erano buoni come Donald Trump avrebbe voluto, accusandola, senza fornire alcuna prova, di aver manipolato i numeri per motivi politici, essendo stata nominata in quel ruolo da Joe Biden.
Sappiamo, sin dagli della prima sua presidenza, come Trump e la sua squadra siano, per così dire, specialisti nel costruire «fatti alternativi»: così si espresse Kellyanne Comway, consigliera del presidente, sin dalla prima conferenza stampa dell’era Trump nel 2017, quando trionfalistiche affermazioni sulla partecipazione alla cerimonia di insediamento del nuovo inquilino della Casa Bianca venivano puntualmente smentite dai fatti, da quelli reali, ben visibili a tutti. Abbiamo capito sin da allora che il nemico principale di questo immobiliarista senza tanti scrupoli (così almeno pare dalla sua biografia) arrivato alla presidenza Usa, e del suo cerchio magico, è la verità fattuale, rispecchiata da dati che tutti possono controllare.
Intendiamoci bene. Parlare di “verità” è molto difficile, perché ognuno di noi è affezionato alle “sue” verità, a quello che soggettivamente ritiene sia vero. Ma sappiamo altrettanto bene che non esiste “la mia” verità. Il concetto di “verità” è basato su dati oggettivi, a disposizione di tutti, o almeno di tutti quelli che non si rifiutano di guardarli per paura di dover ammettere che le proprie non sono “verità”, ma opinioni, perfettamente legittime ma soltanto su cose che non riguardano «the way things are», il modo in cui le cose stanno nella realtà.
La forma più evoluta di questa “verità” sperimentabile da tutti è la verità scientifica che, da Galileo Galilei in poi, ha codificato un metodo che rende sempre migliorabile la nostra conoscenza del mondo, attraverso la ricerca di dati sempre più attendibili, proprio attraverso la sperimentazione: una conoscenza di certo sempre perfettibile, mai assoluta, ma basata sull’evidenza fattuale. E la democrazia è la forma di governo che, attraverso una libera informazione e un pubblico dibattito basati sui fatti, non consente all’autocrate di turno di far credere ai suoi concittadini che le cose stanno per forza come dice lui.
Con l’entrata della “post-verità” nei più alti livelli istituzionali, come oggi negli Usa, la liberal-democrazia corre davvero un rischio mortale, vittima dell’ideologia dei “fatti alternativi”, che rende la disinformazione normalità in politica.
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