Tra India e Pakistan l’incubo atomico

Il punto d’attrito, ora come più volte nel corso dei decenni, è il Kashmir. Uno Stato indiano a maggioranza islamica in un’area strategica a Nord dei due Paesi e al confine con la Cina, che fu al centro di un duro conflitto già nel 1947, nel corso di quella “spartizione” che chiuse tragicamente, con milioni di morti, l’epoca del colonialismo inglese

Peppino Ortoleva
Un'immagine simbolo del conflitto fra India e Pakistan
Un'immagine simbolo del conflitto fra India e Pakistan

La crisi in corso tra India e Pakistan è l’ennesimo atto di un conflitto strisciante che dura da quasi ottant’anni, ma è anche l’aprirsi di un fronte bellico pericoloso almeno quanto quelli nell’ex Unione sovietica e in Medio Oriente. Se non di più.

Gli Stati coinvolti dispongono entrambi di armi nucleari e l’identità nazionale è fondata soprattutto sulla differenza prima di tutto religiosa tra l’islamico “Paese dei puri”, il Pakistan - che non ha mai risparmiato toni bellicosi contro il vicino - e un’India ufficialmente tollerante e plurale, ma dove i musulmani, oltre il 14% della popolazione, sono stati trattati fin dalla nascita dei due Stati come una minoranza «meno uguale delle altre».

Il punto d’attrito, ora come più volte nel corso dei decenni, è il Kashmir. Uno Stato indiano a maggioranza islamica in un’area strategica a Nord dei due Paesi e al confine con la Cina, che fu al centro di un duro conflitto già nel 1947, nel corso di quella “spartizione” che chiuse tragicamente, con milioni di morti, l’epoca del colonialismo inglese.

Da allora le tensioni in quell’area hanno dato più volte luogo a vere e proprie guerre, negli anni Sessanta, negli anni Ottanta, e ancora in tempi recenti. Ma gli accordi man mano raggiunti per fissare linee di confine stabili e pacifiche sono stati ogni volta svuotati.

La cinematografia indiana, da noi poco conosciuta sebbene sia tra le più produttive e popolari del pianeta, ha continuato nel frattempo a proporre film patriottici militaristi e antipakistani che esaltano le vere o presunte «azioni chirurgiche» dell’esercito di Nuova Delhi. E proprio di «azione chirurgica» ha parlato il governo indiano per il bombardamento del 6 maggio, in rappresaglia contro l’attentato terroristico anti-indù realizzato il 22 aprile scorso.

Quello che rende questo scontro più pericoloso degli altri è il fatto che i due regimi fanno appello, anche più che in passato, all’odio religioso e nazionale. Dal 2014, con l’ascesa al potere in India del partito “per la patria indù” di Narendra Modi, numerosi sono stati i pogrom e i linciaggi guidati dalle milizie paramilitari di quel partito contro gli islamici, oltre che contro le caste inferiori.

D’altro canto anche in Pakistan il generale Asim Munir continua a fomentare lo scontro. Vedi l’ultimo discorso proprio sul Kashmir - definito “vena giugulare” del suo Paese e quindi illecitamente occupato dall’India - che secondo il governo indiano sarebbe stato causa istigatrice dell’azione del 22 aprile.

Il rischio è accresciuto anche dalla situazione internazionale: il governo indiano punta sia sulla storica alleanza con la Russia, sia sui buoni rapporti con Donald Trump e con i magnati americani delle tecnologie. Il Pakistan conta invece sul rapporto con la Cina per ottenere il massimo di potere sul territorio, in un quadro nel quale le guerre guerreggiate sono sempre più accettate come lecite, anzi inevitabili.

Nel frattempo i due Paesi si sono dotati - l’uno contro l’altro - di quelle armi atomiche che sono state per decenni il grande tabù del nostro tempo: se c’è una parte del mondo dove quel tabù sembra prossimo a cadere è proprio al loro confine. —

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