I riformisti a caccia di un leader
Nessuno degli ispiratori del meeting di Milano ammetterebbe l’intenzione di voler sostituire la segretaria Schlein con un altro leader che poi guidi la coalizione dei progressisti

Ma nooo, figuriamoci, la leader è salda sulla tolda di comando, risponderebbero i convenuti ieri, 24 ottobre, al meeting milanese dei riformisti del Pd, quelli che non sopportano più la «deriva massimalista e radicale» di Elly Schlein, l’inseguimento delle piazze, la scarsa empatia per Zelensky-questo sconosciuto e le ambiguità sull’Ucraina.
Quelli che non vorrebbero «fosse appaltato al fronte liberal e moderato» (copyright Giorgio Gori), e invece vorrebbero un partito meno barricadero, attento alle istanze di imprese e partite Iva. Quelli che si ispirano ai governi Draghi, Gentiloni e Renzi, convinti che con Elly al timone sarebbe molto difficile vincere contro Giorgia Meloni.
Nessuno degli ispiratori del meeting di Milano (Lia Quartapelle, Pina Picierno, Gori, Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Simona Malpezzi, Graziano Delrio, Piero Fassino, Walter Verini, Filippo Sensi) ammetterebbe l’intenzione di voler sostituire la segretaria con un altro leader che poi guidi la coalizione dei progressisti. Quando Guerini dice che il congresso si terrà a scadenza naturale, senza forzature dei tempi, non svela la regola dello statuto che impone sia avviato sei mesi prima e quindi ad agosto 2026. Non ammette che la tempesta congressuale del Pd partirà a gennaio.
Nelle chat, nelle cene e nei capannelli a Montecitorio se ne parla eccome e sono in molti a vagheggiare un avvicendamento al timone. Evocandolo senza costrutto però, perché senza un volto (nuovo o noto) su cui puntare, diventa difficile cambiare il corso degli eventi.
Una mozione congressuale che non abbia come punta di lancia un nome e cognome serve a contarsi: solo per la spartizione delle candidature alle politiche 2027 tra le varie correnti. E basta.
Non a caso, quando Massimo D’Alema nel 2009 volle cancellare ogni residuo veltroniano e reimporre la linea della Ditta, non si limitò a organizzare convegni, ma lanciò Pierluigi Bersani contro Dario Franceschini al congresso del Pd.
Anche oggi, nella Lega, quelli che discettano di sdoppiare il partito sul modello della Csu-Cdu tedesca, se la vedono con Matteo Salvini che liquida l’idea con uno sbuffo. Pertanto, se Luca Zaia e Massimiliano Fedriga non ci metteranno faccia ed energie, non se ne farà nulla.
Nei 5 stelle invece uno sfidante c’è: Chiara Appendino. Ma non ci sono le truppe. Arriveranno se in Campania perdesse Roberto Fico e se alle politiche l’alleanza con il Pd fallisse. Ha fatto bene Appendino a dimettersi ora da vicepresidente.
Visto che la tempistica in politica è tutto, dopo aver tirato fuori la testa a Milano schierando economisti e studiosi (come Tito Boeri, Sofia Ventura, Tommaso Nannicini) per fissare l’agenda, i rifomisti dem dovrebbero dunque cominciare a muoversi senza indugi, perché i margini per costruire una leadership alternativa si assottigliano.
Anche se, a riprova di una scarsa determinazione del gruppo, c’è un indizio: l’assenza all’evento di Milano dell’ex premier Paolo Gentiloni. Il quale evidentemente vuole star lontano dalle beghe di partito, anche se molti (l’ultimo Arturo Parisi su La Stampa) lo indicano come un possibile leader del Pd e federatore dei progressisti. Nell’attesa di un Godot anti-Schlein, un tipo sveglio come Matteo Renzi punta su Silvia Salis da lanciare alle primarie. Mentre Elly potrebbe anticipare un congresso che la rimetterebbe sul trono, per presentarsi più forte ai gazebo per la scelta del candidato premier di tutto il campo largo.
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