Estrarre ricchezza da Venezia, un vero progetto criminale

La mafiosità non è una questione “etnica”, di provenienza geografica – e qui in Veneto dovremmo saperlo bene almeno da trent'anni -, ma di un metodo di “fare” il crimine che si adegua alla società in cui opera

Gianni Belloni
La mafia del Tronchetto agiva per governare lo snodo vitale per il passaggio dei turisti verso Venezia
La mafia del Tronchetto agiva per governare lo snodo vitale per il passaggio dei turisti verso Venezia

Confermata la “mafiosità” del gruppo criminale che agiva al Tronchetto. Il gruppo che faceva capo a Loris Trabujo agiva per governare lo snodo vitale per il passaggio dei turisti verso Venezia, «scoraggiando» la concorrenza.

Ed è questa caratteristica in particolare – il controllo dell'attività economica attraverso la “forza di intimidazione del vincolo associativo” - ad aver con tutta probabilità convinto i giudici della bontà della tesi della procura veneziana. La mafiosità non è una questione “etnica”, di provenienza geografica – e qui in Veneto dovremmo saperlo bene almeno da trent'anni -, ma di un metodo di “fare” il crimine che si adegua alla società in cui opera.

Migliaia di turisti ogni giorno, intruppati in centinaia di torpedoni, approdano nell'isola lagunare - un mastodontico parcheggio - e da lì in barca verso Venezia, verso piazza San Marco: il gruppo criminale del Tronchetto ha operato per “estrarre” la ricchezza dei flussi di cui Venezia gode.

Ed è quello che le organizzazioni criminali hanno sempre fatto: parassitare l’economia presidiandone i passaggi fondamentali e traendo guadagni da quel presidio. Le mafie hanno sempre dimostrato grande interesse per il controllo dei flussi – pensiamo al porto di Gioia Tauro o ai mercati generali come quello di Fondi o di Milano – e scarsa propensione per la produzione. Le mafie prediligono il monopolio e il Tronchetto, piattaforma di arrivo dei flussi turistici che vengono «incanalati» verso Venezia, è da questo di vista perfetto.

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L'isola del Tronchetto vista dall'alto

Il Tronchetto ha fatto gola a tanti: ci aveva “lavorato”, alle dipendenze del Cocco Cinese - ufficialmente come manutentore di barche - Vito Galatolo, 41 anni, pregiudicato ritenuto a capo del mandamento dell’Acquasanta e figlio di uno dei boss di Cosa Nostra condannato all’ergastolo per l’omicidio del generale Dalla Chiesa e ci avevano puntato gli occhi dei gruppi di camorra. Ma alla fine il controllo era rimasto in mano ai “mestrini” di Trabujo, alcuni dei quali con trascorsi nell'organizzazione dei Maniero. Insomma un vero e proprio suk della criminalità autoctona e nazionale.

La criminalità autoctona dei mestrini – e oggi possiamo dire “mafiosa” – si è specializzata nel tempo nell’esercitare un monopolio ferreo – grazie all’utilizzo di minacce e violenza – sulla gestione del trasporto dei turisti e a collegarsi con una rete d’affari fatta di alberghi e negozi che del governo di quel flusso beneficiava.

Con questa sentenza si è preso atto di una realtà che gli inquirenti, i Ros dei carabinieri in particolare - per vent'anni hanno tenuto sotto la lente d'ingrandimento e testardamente hanno tentato ripetutamente di reprimere.

È del 2007 la maxi-operazione «Tallero » dei carabinieri del Ros di Mestre, guidati dal colonnello Vincenzo Rinaldi e coordinati dal pm Stefano Ancilotto, che aveva stroncato gli «abusivi» del Tronchetto e di Piazzale Roma.

Il lunghissimo processo alla fine non aveva reso giustizia della ricchezza dei risultati investigativi, in particolare il carattere associativo della strategia non spezzettabile in singole azioni illegali. Anche per questo quella realtà ha avuto modo di riprodursi e di prosperare dai tempi del “Cocco Cinese”.

Ma anche per la distrazione della politica e dell'amministrazione veneziana che, fatte salve le denunce di Gianfranco Bettin - costate espliciti “avvertimenti” -, per anni ha rimosso il problema del Tronchetto e del governo dei suoi flussi.

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