L’Italia stia attenta alla variabile polacca
Varsavia sta rafforzando il legame con Francia e Germania, e le presidenziali del 18 maggio potrebbero dare ulteriore slancio all’europeista Donald Tusk

I riflettori sono puntati sui probabili incontri romani fra Giorgia Meloni e la coppia francotedesca Macron-Merz, ma la variabile concreta che più potrebbe influenzare il cammino dell’Italia in Europa è quella che non si sente arrivare: la Polonia di Donald Tusk. Le relazioni di Palazzo Chigi con l’Eliseo sono inquinate da antipatie personali su cui i migliori leader dovrebbero saper sorvolare; i rapporti con Berlino sono aggrovigliati, eppure carichi di opportunità nutrite da esigenze comuni, a partire dall’ammorbidimento dei vincoli di bilancio dell’Eurozona per dare impeto alla difesa e alla crescita.
Questo succede mentre Francia e Germania tentano di rimettere in moto il motore dell’Ue che, piaccia o no, ha sempre funzionato solo quando loro erano d’accordo. Le secche in cui siamo finiti - la guerra in Ucraina come l’operazione commerciale speciale di Trump - hanno rafforzato il legame delle due cancellerie con Varsavia. Insieme, puntano alla quadratura di un triangolo dal quale costerebbe caro essere esclusi.
Il voto di domenica 18 maggio in Polonia, primo turno delle presidenziali, va seguito con attenzione. Il successore di Andrzej Duda, esponente della formazione populista e ultraconservatore Pis (Legge e Giustizia) che ha dato parecchio filo da torcere al popolare e europeista Tusk, potrebbe essere il sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski, affiliato alla Piattaforma Civica del premier.
I sondaggi lo danno in testa con un terzo dei consensi, livello confortante sebbene non definitivo, perché il ballottaggio finale si annuncia aperto. Se si affermasse, per il Donald di Danzica sarebbe un tonico da sfruttare in chiave pro-Nato e anti-Putin, per riportare la sua Nazione nel cuore dell’Europa e annacquare i legami coi nazionalisti dell’ex Oltrecortina affiliati al club di Visegrád, ovvero cechi, slovacchi e ungheresi.
Per dare la sveglia all’Ue, Macron e Merz hanno convenuto di ripartire dal Gruppo di Weimar, il patto a tre con Varsavia che, nel nome dell’assistenza all’Ucraina, in febbraio è diventato Weimar+ con Italia, Spagna e Regno Unito. È il nuovo cuore dell’Europa, potenzialmente centrale nella definizione delle scelte che riformeranno il Continente, un cantiere necessario, stimolato anche dal neoregionalismo trumpiano, nel quale il governo italiano ha sinora tenuto un piede dentro e uno fuori, dimenticando che nei grandi club i soci à la carte vengono guardati dall’alto in basso.
Il presidente francese e il cancelliere tedesco sanno che uniti ci si potrà salvare. Tusk, il “terzo comodo”, attende la tornata presidenziale per imprimere una svolta occidentale al suo programma. L’Italia deve darsi una linea netta e coerente, visto che la maggioranza non è coesa come raccontano i suoi leader. Se c’è un futuro diverso per l’Unione, sarà delineato nei prossimi mesi da chi crede nel dover lavorare tutti insieme per il benessere e la sicurezza comuni, così si approssima il tempo in cui si farà la conta di chi c’è e chi no.
Per Roma, divisa fra euroscetticismi dal sapore trumpiano e la tradizione di stato fondatore dell’alleanza a dodici stelle, è passaggio insidioso e molto dipenderà dalla coerenza degli orientamenti nazionali. Alla fine, il destino rischia però di avere un solo nome. Perché, comunque vada, sarà un Donald a influenzare il colore della nostra storia.
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