Guerra in Ucraina, tre fattori di svolta dopo il vertice, ma la pace va ancora costruita
L’incontro Putin-Zelensky non è più solo un’ipotesi, il fronte europeo si è ricompattato e si ragiona dell’invio di truppe occidentali di garanzia in Ucraina (idea malvista da Roma)


Gli alpini a Zaporizhzia? È una possibilità. Dai fumi del vertice di Washington emergono tre sostanziali stimoli di riflessione per il futuro. Il primo è che l’incontro fra Putin e Zelensky, l’aggressore e l’aggredito, non è più solo un’ipotesi di scuola e potrebbe tenersi in tempi non remoti, magari a Ginevra che è meglio di Mosca.
Il secondo è che il fronte europeo si è ricompattato al grido di «salviamo il soldato Volodymyr» e ha ripescato (per ora) Donald Trump dalla rete dell’ammaliante ex agente del Kgb.
La terza è che, se e quando taceranno i cannoni, l’Occidente ragiona con l’America sull’offerta a Kiev di «garanzie di sicurezza» da definire, che potrebbero arrivare a comprendere l’invio di truppe di deterrenza dei Volenterosi, compresa l’Italia. La quale, se si ponesse il caso che oggi è negato con forza, potrebbe optare per le penne nere, truppa gloriosa e ben adatta alle fredde lande dell’Ucraina che, guarda caso, in slavo antico significa “terra di confine”.
È tutto scritto sull’acqua, s’intende. Nonostante il dialogo con la Casa Bianca, e di conseguenza con l'Europa, la Russia bombarda i civili come fosse un videogame, avanza richieste difficilmente accettabili e provocazioni urticanti, come la felpa “Cccp” del ministro degli Esteri, Sergej Lavrov. Putin non è un interlocutore attendibile per vocazione, il che rende l’amico americano ritrovato Trump più affidabile per l’Europa di quanto i suoi tweet facciano credere. I leader del Vecchio Continente concedono che il legame atlantico è centrale per tutelare il mondo fondato sui diritti che hanno elaborato in secoli di pensiero e conflitti. The Donald sogna di scardinare l’ordine multilaterale vigente, ma - per quanto tentato dallo spariglio geopolitico e dalla dottrina dei mega-regionalismi condivisa col Cremlino - non decide di rompere davvero il legame di alleanza costruito con gli europei (anche) su due orrende guerre mondiali.
Una frase attribuita a Winston Churchill recita che «jaw-jaw is better than war-war» - le chiacchiere sono meglio dei combattimenti - e aiuta a valutare la fase nebulosa in cui ci troviamo, sebbene la «war-war» sia in corso. Lunedì a Washington il gruppo di pronto intervento diplomatico ha tenuto l’eventuale trattativa in carreggiata. La premessa di un vertice a “due più” è essenziale se si vuole quadrare il cerchio della tragedia ucraina. Adesso Trump dice Putin è disponibile a un incontro col suo nemico, eppure è prestissimo per dire come, quando e a quali condizioni. Mancano troppe informazioni, come il vero livello del consenso dello zar in Patria, il reale stato dell’economia ex sovietica, l’effettiva capacità di reggere l’offensiva. Spararle grosse, chiedendo territori che Mosca non è riuscita a occupare, potrebbe essere un segno di debolezza, la mossa di chi gioca il tutto per tutto fingendo di essere imbattibile, e ignora platealmente che, a Bruxelles come a Kiev, la rinuncia a chilometri quadrati di Ucraina non è il tabù di una volta.
La strada è questa. Irta di ostacoli e incerta. L’Europa sa di dover tenere alta la pressione sul Cremlino e che il successo sarà direttamente proporzionale alla capacità di restare compatta, missione al limite dell’impossibile, basta guardare il caos al vertice di una Polonia che, quando si parla dei cosacchi, non dovrebbe avere dubbi sul dove schierarsi. Trump potrebbe accantonare, se non superare, l’antipatia per l’Unione e rendersi conto che il vecchio mondo globale è ancora quello che può facilitare la chirurgia politica ed economica necessaria per rendere l’America grande di nuovo.
Kiev non può vincere la guerra, ma sarebbe utile non la perdesse male. «La sua sicurezza è quella dell’Europa e del Regno Unito», ripete il premier britannico Keir Starmer. Churchill, che non era laburista, oggi sarebbe d’accordo.
Urgerebbe un “cessate il fuoco” che Putin non vuole e Trump finge di non ritenere necessario. Aiuterà la precisa definizione delle “garanzie” per il futuro, quando sarà. Come? Se ci sarà una Pace, bisognerà garantirla. Con una zona cuscinetto, come in Corea. Con la minaccia di un simil articolo 5 Nato (chi attacca l’Ucraina attacca i Volenterosi), immaginato dall’Italia in marzo, che potrebbe manifestarsi in supporto militare, logistico, di mezzi terrestri e aerei, infine truppe («non americane», giura The Donald) da schierare lungo quella che diverrebbe una delle frontiere più roventi del Pianeta. In tal caso – teorico, va sottolineato – sarebbe difficile per Giorgia Meloni esibirsi nel più classico degli «armiamoci e partite», però la decisione di inviare soldati in Ucraina – per quanto sotto una bandiera collettiva – avrebbe un effetto sismico nella maggioranza e nella politica nazionale.
Si vedrà. Non è tempo di litigi preventivi. Perché se è vero che blindare la linea della tregua sarebbe indispensabile, è da vedere perché Putin dovrebbe accettare «un articolo 5» quando proprio la vicinanza di Kiev con la Nato è stata il pretesto dell’invasione. Ora si deve spingere nel senso del dopo Washington e provare a farla finita con questa stupida guerra. Sperando che ogni leader sia all’altezza del suo meglio e della sua Storia. E che nessuno, per ragioni di bottega locale, getti benzina su incendio difficilissimo da spegnere anche ora che, è la fragile sensazione diffusa, il fuoco appare meno incandescente rispetto a qualche giorno fa. —
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