Un’opposizione a corto di progetti
Le destre avanzano tra divisioni interne e propaganda, mentre i partiti democratici, in Italia e negli Stati Uniti, appaiono deboli e privi di un progetto. Mancano radicamento sociale, leadership credibili e risposte


In vari Paesi, in particolare negli Stati Uniti e qui in Italia, le destre attualmente al potere non sono efficacemente contrastate nelle loro azioni - aggressive ma spesso confuse - né minacciate nella loro tenuta nonostante le divisioni interne, ora evidenti anche tra i repubblicani statunitensi. Non lo si deve solo alla capacità delle forze reazionarie di fare leva sulle paure e sui risentimenti di buona parte dell’elettorato, ma soprattutto alla debolezza dei maggiori partiti di opposizione e alla loro incapacità di costruire un’alternativa, di leadership e di programma.
Vale la pena leggere in parallelo le fragilità di questi partiti, che hanno in comune il nome, “democratici”, ma forse non solo quello.
Probabilmente la principale causa di debolezza sta nel fatto che possono sempre meno contare - come era nella loro tradizione - su una solida base sociale e mancano in modo sempre più evidente di un radicamento nel territorio attraverso corpi intermedi come sindacati e altre forme di associazionismo. Hanno ora, l’uno e l’altro, essenzialmente i tratti tipici di un’area di opinione. Area che è percepita da una parte considerevole dell’elettorato come elitaria e ingiustificatamente altezzosa.
Non del tutto a torto, anche perché le cosiddette classi colte che vi hanno un ruolo cruciale sembrano tanto più attaccate alla loro presunta “superiorità” proprio mentre le loro condizioni economiche e il rispetto sociale di cui godono stanno subendo un vistoso declino.
A unire queste aggregazioni di opinione, divise su molti temi, sono soprattutto le ostilità e le indignazioni. Contro il razzismo, contro il conservatorismo in tema di genere, contro le vere o presunte derive autoritarie che vengono imputate troppo spesso al “popolo” nel suo insieme. Dimenticando che una forza politica, tanto più se si professa “democratica”, dovrebbe saper parlare con il popolo e conquistarne il rispetto e il consenso, certo non disprezzarlo.
Ai bisogni della parte più fragile della società – a cui la destra può dichiarare di dare, demagogicamente, voce – questi partiti rispondono troppo spesso con formule generiche, o neppure li percepiscono, come si vede ora con il costo degli affitti.
E di fronte all’anti-immigrazionismo da cui le forze conservatrici traggono molta della loro forza si limitano quasi solo a invocazioni di buona volontà invece di elaborare proposte serie per una comunque difficile società multietnica.
A oltre sette mesi dalla sconfitta di novembre, negli Stati Uniti il partito democratico non si è ancora ripreso e anziché un programma unitario riesce per ora a presentare solo un piccolo numero di possibili leader, molto diversi e in conflitto tra loro. Intanto in Italia il Pd con la sua leader emersa dalle primarie, dopo avere puntato sui sindacati per la battaglia perdente dei referendum, continua a ripetere allo sfinimento le rimostranze sulla spesa sanitaria e a dare potere di ricatto a un partito più piccolo che di sinistra ha poco. E rinuncia a prendere una posizione coerente sui maggiori problemi del nostro tempo, a cominciare dall’aggressione russa all’Ucraina e dall’autodifesa dell’Europa. In questa situazione, la contrapposizione tra Elly Schlein e “riformisti” suona vuota.
Non di uno scontro tra persone e correnti c’è bisogno, qui come negli Usa, ma di un confronto di progetti che cerchino di farsi sostenere da società disorientate. Di quelli, però, si vede ben poco. —
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