Il governo Meloni e il paradosso del consenso
L’esecutivo mostra ormai evidenti segnali di difficoltà, che tuttavia non mettono in discussione il primato del centrodestra e del suo maggiore partito


A scorrere i sondaggi più recenti, ci si imbatte in un evidente paradosso. Il paradosso di un governo per il quale si registrano ormai evidenti segnali di difficoltà, nel rapporto con il Paese. Che tuttavia non mettono in discussione il primato del centrodestra e del suo maggiore partito.
Per certi versi, si tratta di una dinamica fisiologica. Il potere logora. Sì, anche chi ce l’ha. Basti pensare che, negli ultimi trent’anni, chi era al governo ha puntualmente perso le elezioni. Girata la boa di metà legislatura, la fase della cosiddetta luna di miele si è esaurita. Per il governo Meloni, peraltro, è stata particolarmente lunga.
Per oltre un anno dall’insediamento, gli indici di apprezzamento si sono mantenuti prossimi al 50%. Poi è iniziata la discesa, molto ripida negli ultimi mesi. Dallo scorso autunno, secondo l’Atlante politico di Demos, il gradimento dell’esecutivo è sceso dal 43 al 35%. Misure analoghe le registra Ipsos.
Potremmo persino parlare di crisi, di fronte a dati di questo tipo. Se non fosse che, nel frattempo, le stime di voto risultano stabili. Insolitamente stabili, viste le montagne russe cui ci avevano abituato le dinamiche elettorali degli ultimi 10-15 anni. Con partiti protagonisti di improvvise, straordinarie fiammate, seguite da altrettanto rapidi rovesci. Fratelli d’Italia no. La formazione della presidente del Consiglio veleggia ancora intorno al 30%.
Questi dati hanno un’unica possibile interpretazione. Il giudizio sui partiti che si oppongono al governo rimane altrettanto critico. Al punto da non farli sembrare una alternativa credibile. È vero che, sommando tutte le opposizioni – ma tutte tutte – si arriva a un peso elettorale paragonabile, se non addirittura superiore, a quello del centrodestra unito. Il quadro, però, non era molto diverso già alle ultime Politiche. La prospettiva dell’unità, al di là degli esperimenti in periferia, rimane un miraggio.
C’è la possibilità di andare a votare prima della scadenza naturale nel 2027? «Io spero di sì e noi saremo pronti», ha dichiarato Elly Schlein nei giorni scorsi. Una leader non può esprimersi diversamente, è ovvio. Ma il quadro è di segno opposto.
Crisi di governo non sembrano alle porte. E le forze di opposizione appaino tutt’altro che pronte. Nuove elezioni, in questo momento, finirebbero così per riprodurre, molto probabilmente, lo scenario esistente.
Nel frattempo, però, si voterà. A ripetizione. E il rilancio dell’opposizione potrebbe passare anche attraverso una “scossa” derivante da consultazioni di diverso livello. Oggi e domani sono chiamati alle urne 117 Comuni. Tra due settimane si terranno i 5 referendum su lavoro e sulla cittadinanza agli stranieri. Il vero appuntamento cruciale, tuttavia, sarà quello d’autunno, quando si voterà in ben sei regioni.
Al netto dei tanti caveat sulle specificità del voto locale, le elezioni regionali forniranno indicazioni aggiornate sulla salute delle opposizioni. Sulla loro capacità di lavorare insieme e delineare un progetto convincente.
L’alternativa è aspettare che il governo Meloni si faccia del male dal solo. Finora, non è bastato.
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