Così la destra bistratta la cultura
Le destre europee al potere, a cominciare da quella italiana, sono in generale più caute rispetto al presidente americano, ma è simile la tendenza a impossessarsi delle istituzioni culturali

La decisione di Donald Trump di colpire Harvard, una delle più prestigiose università del pianeta, con il divieto di iscrivere studenti stranieri non è solo una delle discutibili mosse di questo presidente, che cerca di attirare continuamente l’attenzione con annunci e decreti sempre più “scandalosi” e spesso contraddittòri, anche per fare dimenticare le promesse fatte e non mantenute.
È parte di una guerra sistematica contro le maggiori istituzioni culturali, mirante in alcuni casi a impossessarsene come è stato il caso del Kennedy Center di Washington, in molti altri a sottometterle o decisamente a “punirle”, come sta accadendo appunto con le grandi università Usa.
Le destre europee al potere, a cominciare da quella italiana, sono in generale più caute rispetto al presidente americano, ma è simile la tendenza a impossessarsi delle istituzioni culturali (pur avendo a disposizione ben poco personale all’altezza), e non mancano le dichiarazioni aggressive o irridenti: come quella del ministro della Cultura, Alessandro Giuli, contro la «cultura di sinistra» che oggi avrebbe perso il suo peso.
Questo misto di ansia di occupazione ed esplicita ostilità ha diverse motivazioni. Prima di tutto, è vero che in Europa il mondo dei saperi umanistici e delle arti è stato a lungo “egemonizzato” (espressione legata al comunista Gramsci, ma oggi fatta propria anche da molta destra) dalla sinistra, mentre negli Usa è prevalentemente liberal: parola che Trump e i suoi aborrono almeno quanto «socialista».
Ora le forze reazionarie che godono di un appoggio elettorale senza precedenti vogliono usare il momento per regolare i conti, imponendo anche in quel campo il loro potere, con il risentimento di chi è stato a lungo escluso e vuole umiliare coloro da cui si è sentito umiliato.
Ci sono però, per questi atteggiamenti, motivi anche più profondi. Che negli Usa fosse e sia radicato un atteggiamento anti-intellettuale lo ha dimostrato sessant’anni fa lo storico Richard Hofstadter. È dovuto a un misto di “democrazia” semplicistica, per cui il parere di chiunque - anche il meno informato - vale quanto quello delle istituzioni più autorevoli, e le élite culturali sono una sorta di aristocrazia da abbattere. Senza dimenticare il peso del cristianesimo evangelico, con la sua pretesa di avvicinare la Verità senza interpretazioni ritenute troppo complesse: pochi ricordano che la parola “fondamentalismo”, oggi associata agli estremismi religiosi, è nata proprio negli Usa, nel mondo dell’evangelismo.
Oggi, un anti-intellettualismo analogo si è diffuso anche fuori degli Stati Uniti, e fa leva sulle nuove forme di comunicazione, a cominciare dai social network, dove tutte le opinioni - anche le più infondate - si equivalgono e dove non viene riconosciuta maggior peso neppure alla ricerca più approfondita. I suoi obiettivi dichiarati sono spesso gli intellettuali del campo umanistico, ma tra le finalità principali vi è quella di togliere peso e credibilità alla scienza, prima di tutto nel campo della medicina: lo dimostra il seguito ottenuto dai movimenti no vax proprio in nome del «la mia opinione vale quanto quella dello scienziato», fino alla nomina a ministro americano della Salute di un cospirazionista dichiarato.
Non è un caso che le forze reazionarie di molti Paesi siano state e siano vicine in modo più o meno esplicito ai no vax, anche per pura e semplice demagogia. Presentarsi come il partito dell’uomo qualunque per ottenerne il consenso è una vecchia tecnica. Soprattutto, ma non solo, della destra. —
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