Restare umani, resistenza quotidiana
“L’arte di restare umani” in un mondo che conosce soprattutto “disumanità”: una parola che tutti comprendiamo immediatamente di fronte a eventi terribili come quelli che sono accaduti e stanno accadendo nella striscia di Gaza.

Un’affermazione così bella e al tempo stesso così inquietante, “L’arte di restare umani”, ci riporta a Papa Francesco e oggi viene rilanciata da chi vorrebbe che il pensiero e le pratiche di Franco Basaglia possano ancora agire in un mondo dove la salute mentale tende a dimenticare la sua svolta rivoluzionaria. Un mondo che conosce soprattutto la parola “disumanità”.
È una parola che tutti comprendiamo immediatamente di fronte a eventi terribili come quelli che sono accaduti e stanno accadendo nella striscia di Gaza. Eventi la cui drammatica disumanità non può sfuggire a nessuno, compresi coloro che credono di esserne immuni. Eventi che ci aprono gli occhi su tante altre situazioni che si verificano in questo nostro pianeta che ci immaginiamo civile e accogliente. “Disumanità”: tutti ci intendiamo sul senso da attribuire a questa drammatica parola.
Ma in che cosa consiste il suo opposto, che evidentemente ciascuno di noi sottointende quando denuncia la disumanità? Qui, come sappiamo bene, la questione è meno ovvia. La parola “uomo” è davvero “antiquata”, come qualcuno ha autorevolmente dimostrato? E, se pensiamo che lo sia, che cosa mettiamo al suo posto? Riusciamo a sostituirla con parole più adatte alla realtà che stiamo vivendo?
Non ci siamo ancora riusciti – dobbiamo riconoscerlo – ma abbiamo forse precisato come usare questa parola che oggi, come tale, ci appare generica e lontana da noi. Innanzi tutto, è quel “restare umani” che dà vita alla parola “uomo”, la quale può apparirci fredda e quasi morta. È il salvarci dall’abisso della disumanità, il non scivolarci dentro anche noi, ciò che conta, ciò che comprendiamo bene, ciò che non vogliamo diventare.
Le antropologie, anche le più intelligenti e avanzate, difficilmente possono venire impugnate come un sapere che ci salva, figuriamoci quanto possono contare, per un simile salvataggio, le intelligenze artificiali, quando quelle non artificiali decadono esse stesse in modi di pensare privi di strumenti di difesa nei confronti della invadente disumanità.
Comunque, non c’è dubbio che non dobbiamo trasformarci in peggio, qualsiasi senso riusciamo a conservare al nostro essere “umani”: cerchiamo, dunque, di non peggiorare. E qui, allora, la frase da cui siamo partiti può rivelarsi meno semplice di quel che sembra: più difficile da tradurre in gesti e anche molto meno ovvia, anzi diventa un vero e proprio punto interrogativo.
Già non è così semplice, come ho accennato, far nostro quel “restare”, che indica certamente una resistenza. Più passano i giorni, più le nostre esistenze si riempiono di punti interrogativi senza risposte convincenti, maggiore risulta la difficoltà di un simile restare/resistere: la sensazione di un progressivo imbarbarimento della vita quotidiana di ciascuno, non solo di chi sta male o di chi non ha mezzi materiali per arrivare a sera, ma anche di chi sembra cavalcare con facilità la propria umanità (o si illude di farlo), è ormai diffusa ovunque, si è trasformata in un segnale di allarme che nessuno può trascurare.
Ma che ruolo gioca qui la parola “arte”, che a prima vista sembra un termine fuori posto? E se, al contrario, fosse essenziale, perché ci disillude rispetto a ogni capacità tecnologica, cioè a ogni dispositivo che ci restituisca un poco di umanità? La sua importanza, la sua essenzialità, forse dipende proprio da un simile scarto, dalla nostra residua – ma ancora esistente – capacità di spostarsi dai saperi organizzati verso un ritorno a quella esperienza soggettiva e pratica che stiamo tutti dimenticando per affidarci a quei saperi che ormai tendono ad attraversare ogni aspetto della nostra attuale quotidianità.
Ma, allora, in che cosa consiste questa umanità per non ridursi in una pretesa alquanto fantasmatica? La risposta non è facile, tuttavia è importante costruire questa domanda, lasciarla sospesa, cercare di riempirla di senso. Le risposte – in realtà – sono già lì, disponibili, costruite per tacitarci: evitiamole. —
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