Francia sull’orlo del baratro: Bayrou verso la sfiducia, Macron appeso al Parlamento

La crisi politica di Parigi spaventa l’Europa: sinistra e destra radicali puntano all’Eliseo, mentre l’Italia teme le ricadute economiche e geopolitiche

Marco ZatterinMarco Zatterin

La scommessa folle è diventata la vertigine di una morte annunciata. Salvo colpi di scena inattesi, il premier François Bayrou verrà sfiduciato dall’assemblea repubblicana e la Francia perderà il suo fragile governo di minoranza, ritrovandosi divisa e priva di una ricetta credibile per sanare i malesseri politici, economici e sociali che l’affliggono.

Il liberal centrista Emmanuel Macron assicura che non lascerà l’Eliseo e che (per ora) non indirà altre elezioni. È convinto, e non da solo, che le urne non restituirebbero una maggioranza concreta, pertanto intende chiedere ai 577 deputati in carica di trovare loro, con questo Parlamento, la soluzione per salvare il Paese da tempi ancora peggiori, dalla crisi del regime e della società che esso sovrintende.

Come fare, non è chiaro. L’unica certezza è che saranno settimane dure dalle conseguenze più deflagranti che imprevedibili non solo per i cugini d’Oltralpe.

L’obiettivo della sinistra e della destra radicali - La France Insoumise di Mélenchon come il Rassemblement National euroscettico di Le Pen e Bardella – è far saltare il presidente. I populisti non hanno però un vero piano che vada oltre la volontà di abbattere ciò che c’è e c’era. È un gioco al massacro da cui potrebbe emergere un esecutivo tecnico – «a la Monti», scrivono i cronisti transalpini – per scrivere la manovra austera necessaria (40 miliardi quella di Bayrou), e non assumersene la responsabilità. Il nuovo premier dovrà risolvere un indovinello avvolto in un arcano avvolto da un rompicapo. Ed evitare il tracollo.

L’ala più sovranista della coalizione italiana attende con ansia la débâcle di Macron. A Palazzo Chigi, luogo dove la stima per Macron è raramente praticata, il terremoto parigino suscita nervosismo.

Nel bene nel male, la Francia è il partner forte contro «il prevalere dell’aggressione indiscriminata» di Putin, è la sponda che consente a Roma di giocare contemporaneamente sui tre tavoli della cooperazione europea, dell’amicizia americana, del «no» al coinvolgimento di soldati nel piano di garanzia a Kiev «che abbiamo proposto noi». Un governo della sinistra sparerebbe sul debole patto a Ventisette e minerebbe la ripresa; uno di destra potrebbe porterebbe a Palazzo Matignon un partito finanziato dallo zar Vlad. Meglio di no, anche se detesti il giovane Emmanuel.

Poi c’è l’economia. L’Italia va a passo di lumaca, ma cresce. Il deficit risulta sotto controllo. Eppure l’alto livello del debito non la pone al riparo da una possibile tempesta globale. Nonostante il passivo che deborda, la spesa per interessi francesi è in media la metà di quella italiana, sulla quale grava il costo delle vecchie emissioni. Se Parigi deragliasse, a parte lo stress che causerebbe all’Unione e alla caduta della domanda che penalizzerebbe il nostro export, si porrebbe la possibilità di una bufera globale sui debiti di cui finirebbe per pagare il prezzo anche Roma, bruciando la possibilità di intervenire subito nei settori sensibili, lavoro, istruzione e sanità.

Con due terribili guerre alle porte di un’Europa confusa, Cina e India che scalpitano, l’America sbalestrata, augurarsi il fallimento politico di Parigi per ragioni di pancia è un’idea perdente. Non è stagione fertile per la gioia maligna della schadenfreude, oltretutto, a farsi del male, i francesi ci stanno pensando da soli. Da stasera vedremo in che modo toccherà a loro per cominciare a capire cosa ne verrà a noi. 

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