Trieste, la virata sull’area a caldo: il Porto avvia la stima dei terreni della Ferriera

L’Authority punta a quantificare il possibile investimento futuro in chiave logistica a Servola da parte di soggetti interessati. Intesa Arvedi-Regione sull’occupazione
Operai della Ferriera di Servola al lavoro
Operai della Ferriera di Servola al lavoro

TRIESTE. Qualcosa comincia a muoversi sul futuro della Ferriera di Servola. L’assessore all’Ambiente Fabio Scoccimarro ha annunciato nelle scorse settimane la disponibilità di Siderurgica Triestina a valutare la dismissione dell’area a caldo, ma nulla di concreto era trapelato dalle riunioni estive tra proprietà, Regione e Autorità portuale. A distanza di quasi un mese dall’ultimo incontro, la prospettiva prende corpo davanti alla decisione dell’Authority di avviare una due diligence per stimare il valore della zona, nella prospettiva del subentro di soggetti pubblici o privati interessati a uno sviluppo logistico.

La procedura è iniziata da alcuni giorni e quantificherà l’eventuale prezzo di vendita dei terreni di proprietà di Siderurgica Triestina e della linea costiera data in concessione alla società dall’Autorità portuale. Scopo dell’operazione, propiziata dal confronto tra impresa e Regione, è determinare l’investimento necessario per chi deciderà di rilevare la proprietà e modificare la destinazione d’uso del comprensorio.

Per stessa ammissione di un’amministrazione regionale intenzionata a chiudere l’area a caldo, Siderurgica Triestina rispetta i limiti prescritti dall’Aia e dunque la giunta Fedriga ha escluso lo scontro con l’impresa, che qualche mese fa ha mobilitato i suoi legali per invitare Scoccimarro a cessare le esternazioni sulla volontà di smobilitare la parte inquinante dello stabilimento. La scelta è quella di passare per un approccio graduale, che salvaguardi i 340 operai dell’area a caldo ma che conduca all’addio della produzione di ghisa a Trieste. E qui entra in campo l’Autorità portuale, che potrebbe essere il soggetto pubblico incaricato di rilevare i terreni dell’area a caldo e procedere alla loro trasformazione in zona demaniale, secondo un percorso non dissimile da quanto l’Autorità sta facendo in quel di Monfalcone con l’Azienda speciale del porto isontino. La due diligence servirà allora a fissare il valore della concessione, che dovrà essere stipulata col soggetto privato interessato alla bonifica (leggi smantellamento dell’impianto e risanamento della parte sottostante) e alla trasformazione logistica.

Il destino della zona è già messo nero su bianco nei progetti che vorrebbero realizzarvi un terminal ferroviario a servizio della Piattaforma logistica e del futuro Molo VIII, da tempo oggetto d’interesse di China Merchants Group e di altri colossi internazionali dei trasporti marittimi, capaci di garantire quei volumi di traffico che verranno poi smaltiti via terra grazie all’ambizioso piano di potenziamento ferroviario da 200 milioni, che nel giro di cinque anni promette di creare una capacità potenziale doppia rispetto a quella attuale.

Sul futuro della cokeria e dell’altoforno non c’è ancora nulla di concreto, ma dalle parti della giunta ci si spinge a dire che novità importanti potrebbero arrivare in autunno, quando si spera di arrivare a un’intesa tra Gruppo Arvedi, ministeri e Autorità portuale, che conduca alla riscrittura dell’attuale accordo di programma, secondo linee che definiscano la cronologia del percorso di chiusura dell’area a caldo, che Scoccimarro vuole centrare entro il 2022. E proprio l’assessore ha scritto al presidente dell’Authority Zeno D’Agostino, chiedendo l’avvio della due diligence, per ora condotta da tecnici interni e non da un advisor come avviene di solito.

I frutti si vedranno nei prossimi mesi ma da quanto risulta le parti hanno già stretto un patto d’acciaio, è il caso di dirlo, per la salvaguardia dei livelli occupazionali. La società è fortemente intenzionata a investire sul laminatoio, che rimarrebbe al suo posto e vedrebbe ampliata la produzione attuale secondo una strategia che promette di assorbire buona parte della manodopera dell’area a caldo. Un intervento cui Siderurgica Triestina lega la necessità di un impegno della Regione su formazione e ammortizzatori sociali in attesa degli investimenti sul laminatoio.

È ormai evidente che qualcosa sia mutato negli orientamenti dell’impresa, che pare decisa a prendere atto dei mutati orientamenti della Regione, nel passaggio da Debora Serracchiani a Massimiliano Fedriga. Uno spostamento di indirizzo in parte anticipato da D’Agostino nel novembre scorso, dopo un incontro con il cavalier Giovanni Arvedi. Le cose si sono sbloccate durante la doppia riunione organizzata fra Roma e Trieste il 18 e 19 luglio, dopo un primo confronto avvenuto in gran segreto a Cremona fra Arvedi e Scoccimarro. In quell’occasione non era mancata qualche tensione, con l’imprenditore indispettito per non aver trovato al tavolo Fedriga in persona. I due sono però riusciti a intendersi e il cavaliere ha pure ottenuto il riconoscimento pubblico da parte di Scoccimarro sullo sforzo di risanamento ambientale dell’area e salvaguardia dell’occupazione.

Nei successivi vertici la società ha aperto a valutare la dismissione della produzione di ghisa a Trieste, a patto della soddisfazione di una serie di richieste che possa giustificare la parziale uscita di scena dopo la chiamata del centrosinistra. Il nuovo piano industriale contempla dunque l’eventuale superamento dell’area a caldo: possibile che il gruppo valuti lo spostamento della produzione di ghisa all’estero o ritenga ancora aperta la partita dell’Ilva di Taranto, tanto più in una fase di instabilità che potrebbe ribaltare la linea del governo in crisi.

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