Il valore aggiunto degli occhiali del futuro

Il progetto di aprire a Belluno la facoltà di Informatica è un passo importante per aiutare il territorio a evolvere

Giulio Buciuni

La recente alleanza tra Kering Eyewear e Google per lo sviluppo di smart glasses basati su Android XR segna un punto di svolta nell’industria dell’occhialeria di alta gamma. Il progetto mira a integrare tecnologia immersiva e design raffinato in un unico dispositivo, ridefinendo il concetto stesso di occhiale. È una mossa che evidenzia come l’innovazione di prodotto oggi sia sempre più frutto della convergenza tra moda, hardware e intelligenza artificiale. Ma è anche un segnale che interroga il futuro del distretto dell’occhiale di Belluno e della sua Provincia.

Perché, mentre Luxottica – che per prima ha stretto una partnership con Meta, aprendo la strada alla convergenza tra eyewear e digitale – continua a sviluppare il suo progetto con base operativa nella Silicon Valley, anche gli altri grandi attori del settore seguono la stessa direzione. Safilo, ad esempio, ha avviato una collaborazione con Amazon Alexa, mentre Kering Eyewear si è alleata con Google. Una traiettoria chiara: i giganti dell’occhialeria si muovono verso l’ibridazione con il mondo tech, inseguendo nuove forme di valore.

Una domanda cruciale, dunque, emerge: dove si genera oggi il valore aggiunto nell’industria degli occhiali? E che ruolo possono giocare il Veneto e il bellunese in questo nuovo scenario globale? Il punto è proprio questo: nella distribuzione internazionale delle funzioni innovative, le attività più strategiche – ricerca, design, software, presidio del mercato – tendono a concentrarsi nei grandi hub urbani globali.

Ad Agordo e nel Bellunese, storica patria di Luxottica, restano le attività produttive, spesso di alta qualità, ma comunque legate alla trasformazione fisica del prodotto. È la fase della catena del valore che, nei modelli globali di produzione, genera la porzione più bassa di valore aggiunto.

Questo spostamento verso il basso nelle catene globali del valore – verso i cosiddetti servizi a basso contenuto intangibile – non è però un destino inevitabile. Tuttavia, per contrastarlo servono condizioni favorevoli e, soprattutto, un’alleanza nuova tra due attori fondamentali: le multinazionali e le università. Le prime, come dimostrano molti casi a Nord Est, tendono a delocalizzare le funzioni intangibili verso città superstar come Milano. Il motivo è semplice: lì trovano un più ampio bacino di competenze, un “labour pooling effect” che favorisce la concentrazione di attività ad alto contenuto di conoscenza. Il rischio per le province industriali, anche quelle storicamente forti sul piano manifatturiero, è di essere relegate a ruoli ancillari rispetto all’innovazione.

Come invertire la rotta? Una strada concreta è quella di investire nella formazione di una forza lavoro locale qualificata, in grado di attrarre e sostenere attività innovative sul territorio. Ma non basta avere un’università “presente”. Serve un’università di qualità, capace di generare e trattenere competenze tecniche, con un focus particolare su ambiti Stem oggi fondamentali per l’evoluzione dei settori manifatturieri verso modelli più integrati e ad alto valore.

In questa direzione, assume particolare rilevanza il progetto di apertura di una sede del Dipartimento di Scienze Informatiche dell’Università di Verona nel capoluogo bellunese. È un passo importante, che può offrire le fondamenta accademiche per la costruzione di un ecosistema dell’innovazione radicato sul territorio. Non a caso, l’iniziativa si inserisce nella più ampia cornice della Dolomiti Innovation Valley, un progetto ambizioso coordinato da Confindustria Belluno Dolomiti, che mira a riconnettere la vocazione produttiva del territorio con le sfide della trasformazione tecnologica.

Va anche ricordato che tanto Kering Eyewear quanto Safilo hanno il proprio quartier generale a Padova, segno di un Nord Est che rimane centrale nella geografia industriale dell’eyewear, pur vedendo spostarsi altrove – nei grandi hub dell’innovazione – il baricentro delle attività più strategiche. Ma attenzione: non basta sommare iniziative. Serve una regia. E questa regia deve essere a matrice pubblico-privata, capace di coinvolgere le imprese, le istituzioni, la ricerca, la formazione. Solo un’azione concertata può generare un ecosistema che sia in grado di trattenere valore e attrarre investimenti, evitando il rischio di una desertificazione intellettuale che svuota le province a favore delle metropoli.

In gioco non c’è solo il futuro del distretto dell’occhiale bellunese. C’è la possibilità – e la responsabilità – di trasformare un’eredità industriale in un laboratorio contemporaneo di innovazione, in grado di dialogare con i centri globali ma anche di proporre un proprio modello di sviluppo, radicato e sostenibile nel tempo. La sfida è complessa e al tempo stesso urgente. E richiede una classe dirigente – pubblica e privata – capace di visione e coordinamento. Perché l’ecosistema non si improvvisa: si costruisce, passo dopo passo, unendo capitale umano, tecnologia, infrastrutture e governance. Belluno ha tutte le carte per provarci. Ora tocca giocarle.

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