La cavalcata dei Big del digitale, ma il Nord Est non ha campioni
Il settore delle WebSoft: 43,4 miliardi di ricavi e oltre 253 mila addetti, ma Friuli Venezia Giulia e Veneto sono residuali, pochi gli investimenti rispetto al Pil

Che l’Europa abbia perso il treno delle WebSoft è evidente: tra le prime 25 società mondiali del settore digitale solo due sono europee.
E non va meglio per il Friuli Venezia Giulia e il Veneto, che presentano solo sei grandi imprese del settore sulla lista delle 119 più grandi realtà presenti in Italia.
Si tratta in effetti di 171 aziende, riconducibili ai 119 gruppi selezionati (alcuni dei quali, tra i più importanti, sono stranieri), che registrano un fatturato aggregato 2024 pari a 43,4 miliardi di euro (+9,2% sul 2023 e +97,4% sul 2019), con l’impiego di oltre 235 mila dipendenti.
A dirlo la prima analisi sul settore effettuata dall’Area Studi di Mediobanca, dal titolo “Report Websoft Italian Software & Web Companies”, pubblicata proprio ieri.
La scarsa centralità del Nord Est va oltre una tradizione di sviluppo che appartiene ad un passato oramai remoto: quello degli anni sessanta e settanta del secolo scorso quando il professor Mario Volpato, docente di Matematica e presidente della Camera di commercio di Padova, aveva dato impulso allo sviluppo di un sistema di servizi innovativi.
Tutto ciò a partire dalla fondazione, nel 1974, di Cerved, società che aveva informatizzato i dati dell’intero sistema camerale italiano.
Da Cerved sono nate Cerved Engineering (l’attuale Engineering sesta in classifica ma non più legata a Padova) e Infocamere che compare in 63esima posizione tra le grandi società WebSoft individuate da Mediobanca.
In classifica oggi risultano, tra Friuli Venezia Giulia e Veneto, la veneziana FiloBlu (64esima in classifica per fatturato nel 2024), le padovane Lynx (66esima) e Autoscout 24 (80esima), la triestina Insiel (ottantaduesima), controllata dalla Regione Fvg, la vicentina Sanmarco Informatica (Newsmi) e infine la pordenonese Overit (116esima).
A perdersi per strada, molte realtà storiche dell’informatica, soprattutto padovana, come la Sec, stritolata dalla crisi delle Popolari venete, o Corvallis, azienda di grande capacità innovativa ceduta definitivamente a Tinexta Cyber nel 2024.
Sul territorio rimangono molte Pmi dai forti caratteri innovativi, capaci di buone performance di redditività e di una presenza sui mercati che travalica i confini nazionali ma le cui dimensioni rimangono insufficienti per colorare un po’ di Nord Est la classifica delle WebSoft.
E proprio la frammentazione del mercato, in Europa come da noi, è una delle cause del gap competitivo delle nostre imprese rispetto ai colossi statunitensi e cinesi.
«La necessità di sfruttare le enormi economie di scala che caratterizzano questo mercato», si legge nel report «unita al costante impulso delle scoperte tecno-scientifiche su cui si fondano questi giganti, continua ad offrire nuove opportunità. Aggregazioni strategiche e investimenti nelle frontiere più avanzate della ricerca, come l’AI, rappresentano oggi le leve principali per recuperare terreno».
E tuttavia sul piano degli investimenti in ricerca e sviluppo le cose non vanno propriamente per il meglio: le imprese statunitensi investono circa il 2,7% del Pil in R&S privata (il 3,4% se si considera anche la spesa pubblica), con un ecosistema maturo composto da venture capital, università e startup. In Cina Il governo sostiene attivamente le aziende tech con fondi pubblici strategici.
In Italia i dati sono preoccupanti: qui si parla di una media di investimenti privati in ricerca e sviluppo che si fermano allo 0,9% del Pil.
Il risultato non è confortante: rispetto ai trend dei ricavi del settore a livello globale (+12,6% tra 2024 e 2025) l’Italia presenza performance medie pari a poco più della metà (+6,6%).
Non va meglio per quanto riguarda la redditività o i profitti: dati che impongono una riflessione strategica per non incorrere nel rischio, concreto, di perdere un treno tecnologico strategico. —
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