Riparte il risiko bancario. Le mosse francesi a Nordest

Le strategia del gruppo transalpino che in Friuli Venezia Giulia controlla Friuladria. Il presidente di Unicredit Padoan: l’uscita di Mustier non c’entra con il caso Mps
Il quartier generale del Credit Agricole
Il quartier generale del Credit Agricole

MILANO Chi sarà il prossimo a muovere la pedina sullo scacchiere? È il quesito più ricorrente tra gli operatori del settore bancario. Perché che il riassetto del comparto non si limiterà all’opa di Crèdit Agricole sul Creval è ormai una certezza. Ed è altrettanto certo che ancora una volta il Nordest avrà un ruolo centrale nel riassetto. Del resto, il gruppo francese ha il suo baricentro italiano a Pordenone, sede della controllata Friuladria (con numerose sedi anche tra Trieste e Gorizia), che ha chiuso i primi nove mesi dell’anno con impieghi per 7,4 miliardi di euro, in crescita del 4% rispetto a fine 2019, mentre la raccolta diretta è salita del 6% a 7,1 miliardi. Ma la presenza del gruppo francese nella Penisola va ben oltre: tra l’altro istituto di credito Cariparma e le partecipazioni nel credito al consumo (Agos), prestiti e leasing (Fca Bank), risparmio gestito (Amundi e Caceis) e assicurazioni (Crédit Agricole Vita, Crédit Agricole Assicurazioni, Crédit Agricole Creditor Insurance), l’Italia è il secondo mercato domestico per CA con 14 mila collaboratori e più di 4,5 milioni di clienti.

L’acquisizione dell’istituto valtellinese consente al gruppo transalpino di consolidare la sesta posizione tra le banche commerciali italiane e di diventare la settima per totale attivi e clienti. In testa alla classifica c’è Intesa SanPaolo, che ha rafforzato il vantaggio su Unicredit grazie all’acquisizione di Ubi Banca, che dovrebbe garantirle sinergie per oltre 700milioni di euro. Del resto, come già accaduto nelle due principali ondate di aggregazioni (la prima portò alla nascita di Intesa SanPaolo e di Unicredit, la seconda a una serie di acquisizioni tra le banche popolari), le fusioni nel settore del credito si fanno soprattutto per ridurre i costi. Non a caso ogni integrazione si porta dietro molte chiusure di filiali e l’accorpamento dei centri direzionali, con incentivi alle uscite per le posizioni in esubero. Questa stessa ragione spinge da tempo BancoBpm a guardarsi intorno: ormai digerita l’integrazione tra l’istituto milanese e quello veronese, ora la realtà guidata da Giuseppe Castagna guarda a Est.

Negli ultimi giorni, infatti, hanno preso corpo le voci su una possibile integrazione con la Banca Popolare dell’Emilia-Romagna, che si appresta a crescere anche in proprio rilevando le 620 filiali di Ubi che Intesa non può rilevare per ragioni di Antistrust. Sullo sfondo resta la patata bollente di Mps, per la quale crescono le voci su una possibile integrazione con Unicredit. L’addio annunciato dell’ad di Piazza Gae Aulenti, Jean Pierre Mustier, che ha più volte ribadito di non essere interessato ad acquisizioni in Italia, è solo l’ultimo passaggio del risiko. In questo scenario si inserisce anche la recente nomina alla presidenza di Pier Carlo Padoan, ex-ministro del Tesoro e con una lunga frequentazione degli ambienti governativi:

«Il Monte dei Paschi non ha avuto alcun ruolo nella decisione di Mustier di uscire da Unicredit al termine del mandato in corso. E peraltro la sua decisione non cambia in alcun modo la posizione della banca rispetto a qualsiasi operazione in merito», ha detto ieri Padoan. Si tratta in tutti i casi di partite complesse, ma al tempo stesso vi è la consapevolezza che le caselle dovranno andare a posto nell’arco di pochi mesi. Dalla primavera del 2021, infatti, è attesa un’impennata di crediti deteriorati che rischiano di far traballare i bilanci bancari. Meglio dunque agire da subito sul lato dei costi, anche se questo inevitabilmente provocherà ricadute negative anche

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