Monfalcone, la difficile integrazione delle donne nella città laboratorio di Fincantieri

I cantieri navali catalizzano la manodopera maschile di origine straniera, soprattutto bengalese. Ma le lavoratrici immigrate, a fatica, si stanno ritagliando un ruolo tra gli impiegati 
Tiziana Carpinelli

Per le donne, l’accesso al mercato del lavoro è sempre in salita. E se si tratta di una migrante il declivio appare più accentuato. Non fa eccezione il laboratorio multietnico di Monfalcone, in provincia di Gorizia, che con la grande fabbrica di Fincantieri catalizza nel suo indotto buona parte della popolazione residente di origine straniera, oltre il 30% su un totale di 30.319 abitanti: la maggior parte a traino bengalese, di fede musulmana. L’ultimo dato raccolto dal Comune, aggiornato ai primi di dicembre, consegna un’istantanea emblematica dell’occupazione femminile: su globali 3.189 donne lavoratrici (a spanne il 10,5% della complessiva cittadinanza, bambini e anziani compresi), le italiane svettano nel settore dell’impiego rosa con 2.729 salariate, l’85,6%. La residua parte è la componente migrante, europea ed extracomunitaria: 300 donne lavoratrici rumene (9,4%), 55 ucraine (1,7%), 41 cinesi (1,3%), 27 croate (0,9%), 26 bulgare (0,8%), 8 bengalesi (0,3%), 3 macedoni (0,09%).

Una fotografia più centrata arriva poi dalla Regione, con l’Osservatorio sul mercato del lavoro, fornita dal responsabile Carlos Corvino. Nella provincia di Gorizia, dato 2022, si contano complessivamente 57.518 occupati, di cui 33.546 uomini e 23.971 donne (qui +6,3% dal 2018, quando se ne contavano 22.541, un quadriennio). Tuttavia se si guarda alle quattro province, con riferimento alla percentuale di lavoratrici impiegate, Gorizia è fanalino di coda: Trieste al vertice con il 47,3%, poi Udine (45,1%), Pordenone (42%) e appunto l’Isontino (41,7%, -0,1% rispetto al 2018). Il tasso di occupazione medio si attesta sul 65,8%, che raggiunge il 73,4%, sempre nel 2022, per gli uomini e il 65,8% per le donne. Con un gender gap del 15,8%, superato solo da Pordenone (19,6%), mentre a Trieste il dislivello è del 6,5%.

Chi ha iniziato a invertire la rotta per ridurre proprio il gender gap, a Monfalcone, è Fincantieri, l’azienda che contribuisce in larga misura al Pil isontino. L’occupazione femminile nel benchmark temporale di cinque anni, dal 2018 a oggi, ha segnato un +3% a Panzano e un +6% a Trieste. Ma in città quante donne indossano l’elmetto Fincantieri? E cosa fanno? Indubbiamente la forza lavoro nella navalmeccanica resta appannaggio del bacino maschile, per via della produzione in fabbrica, tuttavia tra i diretti – 1.800 dipendenti in tutto – la parte del leone la fa ormai il ruolo amministrativo-impiegatizio (con diverse lavorazioni assorbite dall’appalto), che occupa il 50% dell’organico e qui, la categoria “rosa”, si è ritagliata un suo margine. È donna, infatti, il 10% dell’area impiegatizia di circa 900 addetti: una novantina, le lavoratrici. Erano il 7% nel 2018.

A Trieste, dove opera la Direzione navi e mercantili con la corporate il numero è più significativo: su 1.450 dipendenti, la quota femminile che 5 anni fa si attestava sul 21% è salita al 27%. Un dipendente su quattro calza i tacchi alti. E tra le due sedi, 480 salariate su 3.250 figure occupate. Un dato in crescita che si proietta sui recruiting day, dove sempre più spesso fanno capolino mamme e giovani.

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