Materie prime, l’allarme delle fonderie: «Serve una filiera europea»

L’appello dall’assemblea annuale di Assofond a Soave. Tra i nodi lo stop dal 2026 per le importazioni dalla Russia. Il presidente Zanardi: «Dobbiamo pensare a come sostituire le forniture»

Giorgio Barbieri

Nei giorni in cui il Consiglio dei ministri dà il via libera al decreto legge sulle materie prime, dal Veneto parte l’appello delle fonderie italiane (7,6 miliardi di ricavi, 900 aziende, 23 mila addetti) a costruire al più presto una filiera europea in questo ambito. Alla luce soprattutto degli effetti delle sanzioni europee nei confronti della Russia, con limiti all’importazione continentale di ghisa, input di base per la produzione dei getti, a 1,1 milioni di tonnellate quest’anno (l’import della sola Italia dalla Russia nel 2023), per scendere a 652.000 nel 2025, azzerandosi poi nelle intenzioni a partire dal 2026.

A Soave si è svolta l’assemblea annuale di Assofond. Il Nord Est è infatti un territorio estremamente rilevante per il settore: si stima che tra Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino ed Emilia-Romagna siano complessivamente presenti oltre 250 fonderie su un totale di mille presenti nell’intera penisola, che danno lavoro a quasi 10.000 persone, circa un terzo del totale dei lavoratori impiegati dal settore in Italia. «Pensiamo alla ghisa in pani, fondamentale per tutta l’industria meccanica, per realizzare importanti infrastrutture come quelle idriche e per fabbricare componenti indispensabili per produrre energia green», ha spiegato Fabio Zanardi, presidente di Assofond e amministratore delegato della veronese Zanardi Fonderie, «la maggior parte viene dalla Russia. Ma già sappiamo che a partire dall’anno prossimo se ne potrà importare solo una quantità limitata, che sarà poi azzerata dal 2026. Non discutiamo le sanzioni, che sono necessarie e sacrosante. Ma bisogna pensare a come garantire le forniture all’industria. A oggi le alternative sono lontane e costose: Sud Africa, Brasile e poco altro. Sempre nel 2026, poi, la piena operatività del Carbon Border Adjustment Mechanism renderà ancora più oneroso l’approvvigionamento di questo materiale da Paesi extra Ue». Zanardi indica due possibilità: «O scegliamo la via dell’inerzia, che porterebbe nel giro di qualche anno alla fine dell’industria europea, sopraffatta dalle produzioni asiatiche realizzate con la ghisa russa acquistabile a basso costo, o scegliamo quella degli investimenti e dell’innovazione, che potrebbe invece creare una filiera europea delle materie prime a basso impatto ambientale e ridare così slancio non solo a un settore industriale, ma a un indotto sterminato, oltre che favorire la transizione ecologica. Le tecnologie ci sono: serve la volontà di favorire gli investimenti in un settore strategico e di programmare a lungo termine, anche se oggi potrebbe sembrare poco conveniente».

Proprio giovedì il Governo ha dato il via libera al decreto legge per permettere una nuova mappatura delle risorse nazionali e per attivare strategie di intervento anche attraverso un fondo sovrano. «Bene questa attenzione a temi importanti», ha aggiunto Zanardi, «ma è fondamentale che le intenzioni si concretizzino in azioni di aiuto all’industria. Se guardiamo al gas, ad esempio, non siamo riusciti ad aumentare la produzione nazionale nonostante i recenti shock, iniziativa peraltro di impatto ambientale inferiore rispetto alla messa a terra di nuovi processi di trasformazione di materie prime».

La competitività del settore è poi messa a rischio anche da un gap rilevante nel costo dell’energia elettrica. «Altrove hanno il nucleare o un peso maggiore delle rinnovabili», commenta Zanardi, «e così in alcuni mesi il gap a nostro sfavore ha superato anche il 60%».

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