Lino Zanussi: il seme friulano e l'ossessione di andare avanti

Nei documenti economici la parola più usata è innovazione. Se ne servono imprenditori, sindacalisti, insegnanti, giornalisti per spronare alla rottura di situazioni di immobilismo. La utilizzano persino i preti, alle prese con il risveglio delle anime. L’innovazione è l’ingrediente che più di altri dà sostanza alla ripresa; sollecita strategie e innerva mentalità. L’uso prolungato manifesta però le controindicazioni di un guscio vuoto, privo di efficacia. Uno dei primi capitani d’azienda a impiegare il termine per il verso giusto, cioè quello della concretezza, fu il pordenonese Lino Zanussi nel momento decisivo dell’evoluzione dell’impero degli elettrodomestici. L’economia cresceva a ritmi sostenuti, quindi non aveva bisogno di formule magiche per elevarne la velocità. Bastavano un piccolo gruzzolo e una buona dose di coraggio per avviare un’attività, magari nel sottoscala dell’abitazione o nella stalla svuotata dai buoi. Il resto lo faceva il mercato, che agiva sotto il segno del toro, in una fase di effervescenza. Eravamo dentro il miracolo economico degli anni Sessanta. Girava tutto come una giostra (crisi congiunturali a parte): fiuto tanto, cultura poca, individualismo spregiudicato, scaltrezza per fregare i concorrenti. Ma in questo contesto maturarono anche i limiti strutturali che tormentano ancora il “sistema Nordest”.
Un discorso-profezia
Lino Zanussi sviluppò con lungimiranza dei ragionamenti attorno ad alcune parole-chiave che proiettavano nel futuro: una di queste era l’innovazione, un termine presente solo nei dizionari. Per lui, era un concetto imprescindibile di sviluppo. Lo ripeteva, quasi con ossessione. Mise così nero su bianco la sua applicazione in chiave aziendalistica e la sottopose durante un incontro all’Università popolare di Udine. Era l’8 maggio 1968. Quella lezione ebbe la forza di una profezia, in tutti i sensi: per i suoi insistenti richiami al cambiamento e perché l’industriale morì in un incidente aereo in Spagna, poche settimane dopo (il 18 giugno 1968). Per Zanussi l’innovazione era una mescolanza di mentalità e di sensibilità nel cogliere il segno dei tempi: «La previsione dello sviluppo dell’impresa non è certo l'immaginazione del futuro, ma la volontà del futuro. È questa volontà che mette nelle condizioni di rinnovarci continuamente: che non ci fa fuggire davanti ai problemi, ma ci porta a cercarli». In pratica, l'azienda competitiva era “condannata” a innovare. «Tutti gli altri elementi – spiegò a una platea particolarmente attenta – su cui si basa la competizione industriale (organizzazione, metodi di gestione, politiche dei prezzi, pubblicità, sistemi distributivi e altro ancora) non sono che una conseguenza, o un’espressione, della capacità di un’impresa di introdurre continuamente delle innovazioni nel suo settore, nel suo mercato e nelle sue produzioni».
Investire sempre
Ovviamente, occorreva investire nell'azienda, senza smettere mai, neanche in tempo di crisi. Per Lino Zanussi questi oneri “necessari” non rappresentavano un rischio, perché riteneva fondamentale puntare sulle idee, sugli uomini, sui mezzi e sul modo di operare. Anzi, esigeva che questo tipo di visione diventasse una vera e propria filosofia d’impresa, in grado di espandersi nel territorio per contaminarlo, sollecitandone la crescita. L'orizzonte dell’industriale pordenonese andava infatti ben oltre i cancelli degli stabilimenti. La sua “fabbrica diffusa” creò quell’humus imprenditoriale, tecnologico e culturale fondamentale per la città. Un seme, ricco di germogli. Tant’è che l'impresa si sviluppava come una linea continua, senza pause. Si racconta ancora che, un giorno, uno dei suoi collaboratori più fidati interrogò Zanussi: «Dai, sior Lino, cossa vutu far de tanti frigoriferi? Fermemose! Basta, cussì non gavemo altri pensieri». La risposta fu secca, e in essa c'era la progettualità di una vita da vero imprenditore: «Hai mai pensato alla Fiat che conta più di 100 mila operai? E ai tuoi figli? Allora andiamo avanti». Dentro questa strategia stava il concetto di uno sviluppo strutturale aperto a ogni nuovo fermento.
Il nucleo originario
Lino Zanussi seppe allargare il nucleo originario dell'officina di stufe avviata nel 1916 dal padre Antonio. Inseguì la modernità, che entrava nelle case, avviando una serie completa di elettrodomestici: i frigoriferi, che sostituirono le precarie e antigieniche giassere; le lavatrici, che contribuirono all'evoluzione di un intero settore, dal mastello e dal lavatoio al microchip. E la creatività dell’imprenditore non si fermò più, neanche di fronte a sfide tecnologiche sempre più complesse, fino a lasciarsi sedurre anche dai televisori. Infatti, nel periodo delle prime trasmissioni, il nome di Pordenone entrava nelle conversazioni di tutti grazie a Paola Bolognani, la giovane biondona che si imponeva nelle puntate di “Lascia o raddoppia?”, la popolarissima trasmissione a quiz di Mike Bongiorno. La ragazza vinse numerose puntate. Era imbattibile sugli argomenti calcistici: sapeva tutto, persino i numeri delle scarpe dei giocatori. A seguito di questi successi, Lino Zanussi si interessò al fenomeno televisivo, soprattutto per l'impatto economico che poteva sviluppare. Incaricò i suoi collaboratori di presentargli dei progetti. E fu subito conquistato dai primi schizzi a matita di alcuni modelli. Alla fine esclamò convinto: «Abbiamo 10 mila rivenditori. Volete che non siano capaci di vendere una decina di televisori a testa in un anno? Sono sicuro di sì. Così sarà raggiunto il lotto minimo indispensabile al lancio della produzione entro le compatibilità di bilancio». Quest’ultima decisione evidenzia l'attenzione dell’industriale anche per la rete commerciale che considerava strategica per ogni catena organizzativa. Una lezione colpevolmente dimenticata da numerosi imprenditori, troppo individualisti (magari belli e creativi, ma nanerottoli e privi di capacità distributiva), che si sono fatti mangiare in casa propria (anche nel cuore dei distretti del Nordest) da multinazionali molto organizzate.
Design, marketing e pubblicità
Una terra di fabbriche e lavoro sperimentava percorsi innovativi per design, marketing e linguaggi pubblicitari per promuovere i prodotti sui mercati. Ogni mossa del colosso Zanussi era studiata fin nei minimi dettagli: dalla fabbrica al consumatore. È sufficiente ricordare l’evoluzione dei messaggi che circolavano su giornali e televisioni. Dapprima fu scelto l’attore Fernandel, il Don Camillo dei film di Guareschi, come testimonial dei tanti sketch trasmessi attraverso Carosello. Due, tre scenette facevano da cornice allo slogan conclusivo, che valeva da consiglio per gli acquisti di uno dei marchi della galassia industriale: «Naonis, che meraviglia!». Qualche anno dopo, attorno alla metà degli anni Sessanta, fu la volta dell’attore Paolo Stoppa. Un paio di minuti e via al lancio Rex: “Fatti, non parole”, che vent'anni dopo sarà rivisto in “Fatti per essere il numero 1”. Si trattava di una storia nella storia dell’innovazione, un fenomeno che Lino Zanussi considerava una necessaria combinazione di professionalità e di culture che si integravano in una fabbrica di idee.
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