Le tre sfide della siderurgia: mercato fermo, costi, Cina

Nord Est molto presente nel settore: il Veneto è la seconda regione d’Italia, il Friuli Venezia Giulia la quinta. Congiuntura poco brillante in cima alle preoccupazione delle imprese: consumi in calo a causa della frenata dell’industria

Federico Piazza

L’acciaio italiano si dà appuntamento il 26 settembre a Vicenza per discutere di futuro in un contesto di incertezza e trasformazione del settore. Il capoluogo veneto ospiterà infatti l’assemblea pubblica annuale di Federacciai e la prima edizione del Siderweb Forum.

La siderurgia è innanzitutto chiamata ad affrontare le sfide di un mercato stagnante a livello sia europeo sia globale. E in prospettiva, si deve misurare con sfide geopolitiche, tecnologiche e nei modelli di business. Sfide che certo non risparmiano il Nord Est, che ha numeri molto rilevanti nel panorama italiano dell’acciaio.

Il Veneto è la seconda regione siderurgica d’Italia, con una filiera che complessivamente (produzione, centri servizi, distribuzione, taglio e lavorazione lamiera, commercio rottame e ferroleghe) vale il 15% del totale nazionale (fatturato aggregato di 13,9 miliardi di euro nel 2022, elaborazione Ufficio Studi Siderweb).

Il Friuli Venezia Giulia è la quinta regione con una quota del 5% (5 miliardi di euro nel 2022). Nel Triveneto hanno sede o operano con società collegate produttori quali Acciaierie Valbruna, AFV Acciaierie Beltrame, Acciaierie Venete, Acciaierie Bertoli Safau (Danieli), Pittini, Marcegaglia, Metinvest, Nlmk, Pittini, Tecnosider (F.lli Cosulich). Ma anche importanti centri di servizio e distributori come Gabrielli, Metalservice, Commit, Tresoldi, Manni, Venete Riunite, Ferroberica. La congiuntura poco brillante è la prima questione oggi per la siderurgia.

I consumi di acciaio in Europa e Italia sono in calo a causa del rallentamento di molti comparti industriali. Su questo pesano molto le difficoltà della prima economia del continente, la Germania. E le prospettive di una qualche ripresa sono posticipate al 2025. Ma la domanda è rallentata pure a livello globale. E c’è il rebus Cina, il gigante mondiale dell’acciaio, il cui eccesso di capacità produttiva si sta riversando sui mercati internazionali con effetti distorsivi sui prezzi.

Da giugno 2024 le misure di salvaguardia Ue sulle quote di importazione da diversi paesi extra europei sono state prorogate e rafforzate, e stanno aumentando anche le investigazioni su pratiche di concorrenza sleale e dumping. I produttori europei, nel frattempo, si confrontano con costi energetici elevati (ancor di più per gli italiani, rispetto alla media europea), con il rischio pertanto di una forte compressione delle redditività delle imprese, osservano gli analisti.

Un problema che nei prossimi anni potrebbe in prospettiva ridurre i margini di sostenibilità economica dei piani di investimento delle imprese siderurgiche per la decarbonizzazione. Guardando ai numeri più recenti, Federacciai ha rilevato che la produzione italiana di acciaio si è ridotta del 5,4% nei primi sette mesi del 2024, scendendo a 12,5 milioni di tonnellate.

Forte contrazione soprattutto per i piani laminati a caldo. Ma il trend di riduzione complessiva dell’output nazionale continua dal 2022, dopo il rimbalzo del 2021. Nel frattempo, nei primi cinque mesi dell’anno (dati Istat) il saldo negativo della bilancia commerciale italiana di settore si è ampliato a 4,7 milioni di tonnellate. Nello stesso periodo il consumo definito «apparente» dagli specialisti (produzione più importazioni meno esportazioni, dato che misura la quantità di acciaio che effettivamente rimane in Italia) si è quindi ridotto del 2,5% rispetto all’anno precedente.

Non va meglio in Europa: l’output ha registrato una parziale ripresa (+1,7% tendenziale a gennaio-luglio 2024) ma scende il consumo reale di acciaio (-4,3% nel terzo trimestre). Roberto Re, amministratore delegato di Metinvest Trametal e Ferriera Valsider, che dall’Italia segue il mercato europeo, si aspetta «prezzi sostenuti dai costi, con un recupero che permetta alle aziende europee di non registrare ulteriori perdite. Tuttavia, gli effetti della discesa delle quotazioni delle materie prime non si vedranno prima di dicembre-gennaio, perché le aziende stanno fronteggiando costi energetici altissimi». In particolare, «le lamiere da treno, destinate direttamente al consumo reale, stanno vivendo uno dei propri anni peggiori.

Di contro, i coils stanno riuscendo ad ammortizzare la caduta dei prezzi nella catena del valore e a strutturarsi in accordo ai consumi». Il forte calo della domanda di lamiere da treno è avvertito anche nei due stabilimenti Marcegaglia di San Giorgio di Nogaro, che servono una clientela industriale molto diversificata in settori che vanno dalla costruzione di ponti e capannoni ai macchinari industriali alle torri delle pale eoliche, principalmente in Italia ed Europa.

«I volumi sono scesi rispetto al 2023 nell’ordine del 10-15% ed è difficile fare previsioni sulla ripresa, si sente molto il rallentamento della Germania mentre l’Italia ha frenato un po’ meno, in ogni caso stiamo ancora lavorando a piena capacità perché gli impianti perdono efficienza se rallenta la produzione», osserva Marco Ferrone, direttore operativo di Marcegaglia Plates e Marcegaglia Palini e Bertoli. «A causa del conflitto russo-ucraino abbiamo dovuto diversificare nel mondo l’acquisto delle bramme d’acciaio. Pertanto, l’allungamento delle catene di fornitura delle materie prime e il prezzo dell’energia che rimane alto incidono molto sui costi d’esercizio a fronte di prezzi di vendita fermi o in discesa». L’elettricità in particolare impatta molto sulla siderurgia italiana, che utilizza forni elettrici per oltre l’80% della produzione. A tal propositodi recente ha fatto notizia lo spegnimento temporaneo da parte di Arvedi Acciai Speciali di uno dei due forni dello stabilimento di Terni a causa degli elevati costi. A luglio 2024, per esempio, in Italia il Pun (prezzo unico nazionale) che si determina sul mercato libero è stato di 112,32 euro al MWh, il 66% più alto che in Germania e quasi due volte e mezzo quello della Francia. Sicuramente un forte svantaggio competitivo rispetto ai principali paesi concorrenti europei ed extra europei. 

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