Banco Bpm prevede altre aggregazioni. Tononi: valuteremo
Dall’ad di UniCredit Orcel segnali di possibile disimpegno sull’Ops. «Se non riusciremo a risolvere, come probabile, ci ritireremo»

Resta alta la tensione intorno a Banco Bpm, oggetto di un’Ops da parte di UniCredit. Il primo a rilanciare ieri il 20 giugno è stato il ceo di quest’ultima, Andrea Orcel, che nel corso di un’intervista a Repubblica è tornato a paventare il possibile stop all’offerta, ma con la novità di toni apparsi ultimativi.
«Abbiamo fatto e continuiamo a fare di tutto, ma se non riusciremo a risolvere, come probabile, ci ritireremo», ha spiegato il numero di UniCredit. Il quale ha poi mostrato sorpresa per il golden power richiamato dal Governo nazionale, un unicum tra le varie offerte di consolidamento del settore nel nostro Paese.
«Non c’è nessun problema di sicurezza. Siamo una banca italiana che è diventata paneuropea con il 45% delle attività qui, il 30% in Germania e Austria, il resto nell’Europa dell’Est», ha sottolineato. Per poi aggiungere che l’eventuale fallimento dell’Ops farebbe sorgere dubbi sull’italianità di Banco Bpm.
«In caso di nostra rinuncia, resterà Credit Agricole come azionista di riferimento col 20%, o forse di più. E Banco Bpm dovrà dimostrare le promesse che ha fatto e remunerare i suoi azionisti come sarebbero stati remunerati nel caso in cui ci sarebbe stata l’operazione».
Né Orcel ha voluto sbilanciarsi sugli altri dossier, affermando che «le acquisizioni sono un mezzo, non un fine». Dunque, «un buon m&a consiste tanto nel dire “no”, quanto nel chiedersi quali condizioni non siano giuste». Infine ha ribadito di non ritenere strategico il 6,7% detenuto in Generali: «Per quanto riguarda la partecipazione abbiamo agito da un punto di vista finanziario e ora ridurremo la quota nei tempi e nei modi opportuni».
A queste dichiarazioni ha risposto il presidente di Banco Bpm Massimo Tononi. «Se l’offerta di UniCredit dovesse alla fine saltare, ci guarderemo intorno e valuteremo», ha sottolineato il presidente dell’istituto lombardo-veneto. «Oggi siamo sotto passivity rule (le aziende oggetto di offerte di acquisizione non possono compiere atti che trasformano il valore della società stessa, ndr); se dovesse scomparire perché UniCredit dovesse decidere un passo indietro, ovviamente, essendo noi la terza banca del Paese, ci guarderemo intorno».
Parole che riportano alla memoria le voci mai sopite di un possibile avvicinamento a Mps, ipotesi fortemente caldeggiata da diversi rappresentanti del governo, nonostante le autorità di vigilanza siano da sempre contrarie alle fusioni a tre, che rischiano di rendere ingovernabili i processi di aggregazione. Sulla carta, però, se l’istituto senese riuscisse ad affondare il colpo su Mediobanca, nascerebbe un gruppo con una forte presenza nel Nord Est, tra l’eredità di Antonveneta confluita in Mps e il lascito del vecchio Banco Popolare e i legami di Mediobanca con le famiglie imprenditoriali dell’area, se la nuova gestione riuscisse a mantenerli. Tononi non si è sbilanciato in merito a questa ipotesi, limitandosi a ribadire: «Ci guarderemo intorno», ricordando che anche Siena «è molto impegnata in un’operazione in questo momento, quindi sarebbe prematuro fare commenti».
Quindi, in merito al peso dei francesi nella banca che presiede ha ricordato che Crédit Agricole è «da tantissimo tempo un nostro azionista importante. Abbiamo un rapporto di collaborazione splendido a livello industriale, ma la governance della nostra banca è assolutamente nelle mani del consiglio». Infine un commento sulla decisione dell’Antitrust Ue, che non ha rilevato rischi anticoncorrenziali nell’Ops, a patto che UniCredit confermi l’impegno a cedere 209 filiali, di cui metà nella provincia di Verona (secondo le agenzie, l’incarico dell’eventuale dismissione sarebbe stato affidato a Kitra Advisory). «Prendiamo atto della decisione dell’Antitrust europeo. Certo, abbiamo qualche preoccupazione sulle ricadute sui servizi offerti alla clientela e anche sui livelli occupazionali». E lunedì riprende l’Ops.
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