Le multinazionali pagano il personale più delle aziende locali e generano più valore
Le imprese multinazionali non godono di buona fama. Media, politici e sindacalisti non perdono occasione per denunciare le multinazionali che minacciano di chiudere gli impianti in Italia (come Arcelor Mittal a Taranto o Whirlpool a Napoli) e delocalizzano attività produttive all’estero (come FCA in Polonia). Tuttavia, limitare la lettura a questi episodi è come guardare il singolo albero, perdendo di vista l’intera foresta.
I dati appena pubblicati dall’Istat sui risultati economici delle imprese e delle multinazionali a livello territoriale ci offrono infatti un quadro molto più ricco di quanto solitamente appare dalle cronache. Le multinazionali – sia quelle estere con stabilimenti in Italia, che italiane con filiali all’estero – costituiscono un fattore fondamentale dell’economia nazionale, mostrando una maggiore produttività e, soprattutto, retribuzioni decisamente più elevate rispetto alle altre imprese.
In particolare, le multinazionali estere presenti nel nostro paese rappresentano appena l’uno per cento del totale delle imprese private, ma con un milione e 400 mila dipendenti occupano il 12 per cento dei lavoratori e generano oltre il 15 per cento del valore aggiunto totale. La retribuzione per dipendente si attesta sopra i 49 mila euro, contro la media di 26 mila per l’intera economia. Nelle multinazionali italiane i dati sono ancora più significativi: la quota di dipendenti e valore aggiunto sono rispettivamente 14 e 21 %, mentre la retribuzione media arriva a 52 mila euro, esattamente il doppio della media nazionale!
Questi dati non fanno che confermare come le imprese multinazionali esprimano una maggiore complessità tecnologica e organizzativa: per questo hanno bisogno di una forza lavoro con qualifiche più elevate, perciò anche meglio pagate. Inoltre, nei gruppi multinazionali italiani le retribuzioni risultano ancora più alte in ragione delle funzioni di controllo e a maggior valore aggiunto sviluppate nella base domestica. Nelle filiali a controllo estero le attività tendono invece ad avere carattere più operativo, anche se i livelli retributivi confermano la domanda di profili professionali superiori rispetto alla media.
Si può inoltre ipotizzare che fra imprese multinazionali si attivi una concorrenza per attirare manager, tecnici e lavoratori qualificati. Se l’Italia fosse in grado di creare e attirare più multinazionali, ci sarebbero rilevanti benefici per un mercato del lavoro che, come sappiamo, fatica a trattenere in patria i giovani con titoli di studio superiore.
Guardando ai dati regionali, oltre la metà delle multinazionali estere è insediata in Lombardia o in Lazio. Il Veneto si colloca in una posizione intermedia: nelle 4 mila filiali presenti in regione sono occupati 110 mila dipendenti, quasi il 7% dell’occupazione privata, ma il 10,5 per cento del valore aggiunto. Le multinazionali italiane con sede principale in Veneto occupano invece 200 mila addetti e creano oltre un quinto del valore aggiunto totale. Se tuttavia considerassimo anche le reti di fornitura attivate dai gruppi multinazionali presenti sul territorio, questi valori potrebbero tranquillamente raddoppiare.
Le imprese multinazionali costituiscono perciò una realtà importante sia dal punto di vista occupazionale, sia per l’impatto sull’economia, l’innovazione, l’accesso ai mercati internazionali. Lo sono ancora di più in questa difficile fase che l’economia sta attraversando.
La pandemia ha infatti messo in luce l’importanza, ma anche la fragilità di alcune catene globali di approvvigionamento. I gruppi multinazionali, grazie al controllo diretto di stabilimenti oltre frontiera, hanno garantito maggiore sicurezza nelle forniture e una ripresa più rapida sui mercati in rapporto all’evoluzione delle condizioni sanitarie dei diversi paesi. Senza del resto dimenticare che in Italia un’industria chiave per la salute, la farmaceutica, dipende per il 65 per cento del valore aggiunto da multinazionali straniere.
Fra i compiti della politica industriale un posto di riguardo dovrebbe allora essere riservato all’attrazione di investimenti esteri, soprattutto nelle filiere a maggior contenuto tecnologico. Gli atteggiamenti protezionistici oggi prevalenti nel governo – si pensi alla norma sul golden power o al rischio di esclusione dagli incentivi per le imprese con reti produttive all’estero – hanno in realtà l’effetto di allontanare gli investimenti delle aziende più moderne. A rimetterci sono le reti di fornitura locale e i lavoratori più qualificati. Non proprio un buon affare per il nostro territorio. —
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