Lavoro delle donne più povero pagate fino al 23% in meno

Rispetto al 2019, le donne lavorano di più e guadagnano di meno. È questo, in estrema sintesi, il dato che emerge dall’indagine di Ires Veneto sull’occupazione femminile, analizzando i numeri forniti da Istat, Veneto lavoro e Inps.
In particolare, si evidenzia una disparità di trattamento salariale tra donne e uomini che preoccupa la Cgil regionale, decisa a chiedere alla politica di intervenire, a partire da un incremento delle risorse da destinare ai servizi sociali: «C’è una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro, ma non è di qualità – dichiara la segretaria di Cgil Veneto, Tiziana Basso -. La differenza di retribuzione a parità di orario tra lavoratrici e lavoratori è un aspetto che, negli anni, non è mai cambiato. Le imprese devono valorizzare il lavoro delle donne e supportarle concedendo flessibilità, perché il lavoro di cura verso la famiglia è ancora sulle loro spalle. Servono più servizi per consentire loro di dedicarsi anche alla crescita professionale».
Il lavoro delle donne è povero, retribuito meno degli uomini a parità di mansione, precario e part-time. Dal punto di vista salariale, la differenza tra lavoratrici e lavoratori qualificati come impiegati è del 23%, per gli operai del 19%, dirigenti del 16% e quadri del 14%.
Nello specifico, un’impiegata donna guadagna circa 9 mila euro lorde in meno all’anno di un suo collega uomo. Le donne venete, quindi, sono povere come lavoratrici e, in futuro, saranno più povere anche come pensionate, dato che questo gap salariale avrà gravi ripercussioni anche dal punto di vista previdenziale.
Per quanto riguarda i contratti di lavoro, in Veneto, dal 2019 al 2022 la differenza tra il tasso di occupazione maschile e il tasso di occupazione femminile si è ridotta, passando dal 17 punti a 15,9 punti mentre, in Italia, è aumentata da 17,8 punti a 18,1 punti. Ma le assunzioni di uomini con orario full time sono ben più numerose di quelle delle donne, mentre i part time femminili sono maggiori di quelli maschili: nel 2022, tra le assunzioni femminili con contratto a tempo indeterminato, il 41% sono part time, mentre tra quelle maschili solo il 15%.
Non si tratta di scelta, ma per maggior parte di un’imposizione da parte dei datori di lavoro. «Siamo ancora ben lontani dalla parità di genere e questo è evidente a partire dalle retribuzioni – prosegue la sindacalista della Cgil –. Le azioni messe recentemente in campo per promuovere la parità di genere, come le certificazioni di genere, sono utili ma non sufficienti. Serve comprendere che il contributo delle donne con un lavoro qualificato può cambiare la situazione economica generale, servono un impegno da parte delle istituzioni e dei datori di lavoro, e una nuova contrattazione per eliminare le occasioni di disparità di contratto e di retribuzione».
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