L'assenza di etica crea mostri

Della Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca si parla ormai da lungo tempo. Le relative vicende sono note. Hanno riflettuto in molti. Molti hanno cercato di spiegare le ragioni di simili, enormi disastri. Se ne è fatta la storia, si è detto delle progressive aggregazioni, si sono descritti i fasti, ed infine il tracollo, che nessuno aveva potuto immaginare, quantomeno nelle sue dimensioni.

C'è stato un tempo, non lontano, in cui le azioni di entrambi gli istituti andavano a ruba. È qui che si incunea una domanda, ripetuta un'infinità di volte, come un triste, avvilente ritornello, che ha il sapore della fine. Della morte, se non fisica, morale, di molti, travolti da una sciagura che ha sepolto, con il passato, il futuro.

Cosa dice la Costituzione. Possibile - ci si chiede, appunto - che si sia verificato un simile disastro, anche se l'articolo 47, 1° comma, della Costituzione stabilisce che «la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito»? Possibile, se la tutela del risparmio coincide con la tutela del risparmiatore, inteso come "consumatore" di prodotti e servizi bancari, finanziari e assicurativi? Possibile, se queste attività sono, tutte, attratte nella sfera del "pubblico", vale a dire di ciò che si intesta non al singolo, ma alla collettività ed ha a che fare, quindi, con quel che comunemente si definisce bene comune? Che cosa ha fatto sì che questa serie tragica di eventi si producesse, mentre non avrebbe dovuto verificarsi? Pare quasi di trovarsi di fronte a una sorta di incantesimo: di una seduzione invincibile ed inspiegabile.

Certo, qualcuno ha ricordato sintomi inequivoci. Qualche altro ha rilevato che tutti sapevano. Ma è senno di poi. Oggi, è essenziale spiegare, capire, per non replicare. Allora, il percorso è già segnato. Bisogna andare alle fonti, vale a dire alle radici di un ordinamento, che è quello del credito e del risparmio. Esiste, è completo in ogni sua parte e vale la pena di delinearne qualche tratto essenziale.

Il codice civile. Già il Codice civile, in linea di principio, pone una regola inderogabile, il cui significato è di un'evidenza solare: «Gli amministratori sono tenuti ad agire in modo informato; ciascun amministratore può chiedere agli organi delegati che in consiglio siano fornite informazioni relative alla gestione della società» (articolo 2381, 6° comma). Rappresenta, ad un tempo, premessa e corollario di un precedente disposto, il quale prevede che «gli amministratori sono solidalmente responsabili verso la società per l'adempimento degli obblighi a essi imposti dalla legge e dal contratto sociale» (art. 2260, 2° comma). Così è per qualunque impresa. Chi amministra ha il diritto e il dovere di informarsi e risponde solidalmente, a meno che non dimostri di essere esente da colpa. Norme speciali. Per le imprese che operano nel campo del credito e del risparmio, la musica è anche diversa: nel senso che ad esse si applica un vasto corpus di norme speciali.

Tanto per cominciare, spetta a Banca d'Italia la vigilanza regolamentare, che ha ad oggetto «a) l'adeguatezza patrimoniale; b) il contenimento del rischio nelle sue diverse configurazioni; c) le partecipazioni detenibili; d) il governo societario, l'organizzazione amministrativa e contabile, nonché i controlli interni e i sistemi di remunerazione e di incentivazione; d-bis) l'informativa da rendere al pubblico…» (articolo 53, 1° comma, del Testo unico in materia bancaria e creditizia, il quale dice ampiamente circa i poteri spettanti a Banca d'Italia in ordine ai singoli casi concreti, che evidenzino criticità negli istituti di credito). Quanto all'attività, essa deve ispirarsi - si tratta di una sottolineatura quasi ossessiva, che compare dovunque - al criterio della sana e prudente gestione dell'impresa e, a questo fine, si impone, a carico degli amministratori, l'obbligo di informare tempestivamente (articoli 150 e 151 del Testo unico in materia di intermediazione finanziaria).

Può darsi sia noioso, ma forse è illuminante leggere pedestremente quel che sta scritto negli atti che obbligano. Si eviterà di parlare di lacune, quando lacune non ci sono. Infatti, la Direttiva 2013/36/UE - nota come CRD IV - si occupa di tutto e di più: dei particolari ed anche no. Avverte, ad esempio, che si deve evitare che si formi, all'interno di una banca, una "mentalità di gruppo", da imputare alla «mancanza di controllo da parte degli organi di gestione sulle decisioni dei dirigenti». Si osserva, al riguardo, che «questo fenomeno è dovuto, tra l'altro, alla mancanza di diversità nella composizione degli organi di gestione».

Indipendenza e senso critico. Quindi, si aggiunge che, «per favorire l'indipendenza delle opinioni e il senso critico, occorre che la composizione degli organi di gestione degli enti sia sufficientemente diversificata per quanto riguarda età, sesso, provenienza geografica e percorso formativo e professionale, in modo da rappresentare una varietà di punti di vista e di esperienze» (Considerando n. 60, quotate o no, poco importa).

Gestione sana e prudente. Di più, «nello svolgere le proprie funzioni, il Comitato per le nomine tiene conto, per quanto possibile e su base continuativa, della necessità di assicurare che il processo decisionale dell'organo di gestione non sia dominato da un singolo o da un gruppo ristretto di persone in modo che pregiudichi gli interessi dell'ente nel suo insieme» (articolo 88). Tutto ciò, per realizzare che cosa? La scontatissima "gestione sana e prudente" (Considerando n. 49), che si tiene alla larga dalla rischiosità eccessiva e irragionevole.

Per parte sua, Banca d'Italia ha dato attuazione alla Direttiva comunitaria, tra l'altro, con la Circolare 17 dicembre 2013, n. 285, quanto alla governance bancaria. La portata di una serie di prescrizioni vasta e dettagliata la si può riassumere riprendendo un frammento di quel che la medesima impone in tema di "standard minimi di organizzazione e governo societario". In proposito, si debbono avere di mira «la chiara distinzione dei ruoli e delle responsabilità, l'appropriato bilanciamento dei poteri, l'equilibrata composizione degli organi, l'efficacia dei controlli, il presidio dei rischi aziendali, l'adeguatezza dei flussi informativi» (Circolare, 1).

Qui c'è tutto, ivi compreso quel che serve ad evitare il male peggiore, che inquina e corrode: il conflitto di interessi.

Perimetro normativo. Questo, per sommi capi, è il perimetro normativo all'interno del quale si colloca una banca. Chi ha avuto grandi maestri, non ha disdegnato lo studio e si è costantemente misurato con l'esperienza sa bene che le disposizioni a più alto tasso di normatività sono quelle di principio. Non a caso, Alberto Trabucchi insegnava che la buona fede è il "polmone" del diritto civile. E concludeva così: i principi di «correttezza e buona fede … dovrebbero diventare basilari nella vita di relazione giuridica, fino a giustificare l'affidamento per ciascuno di vedersi trattato dagli altri secondo tali norme di onestà e correttezza».

È questa reciprocità che implica il dovere di responsabilità. Nel corso della prima seduta, quella di insediamento, di un organo di vertice di un importante gruppo bancario italiano, un economista di fama - Jean-Paul Fitoussi - si è rivolto al presidente con queste parole, indimenticabili: «Presidente, se non capisco, voto contro!». È l'elemento genetico della sana e prudente gestione, garanzia per chi deposita, per chi investe, per chi chiede credito, per chi desidera guardare al futuro con quel tanto di fiducia e di speranza che può attenuare, se non eliminare del tutto, le angustie della vita.

Dunque, il problema vero - quando si considera il tema nevralgico della governance di un'impresa qualunque e di una banca - è di natura morale.

Riproduzione riservata © il Nord Est