[L’analisi] Le spinte opposte sul commercio internazionale
Da un lato la pandemia ha messo in crisi le tradizionali catene globali di fornitura dall’altro spinge imprese e consumatori verso l’adozione di soluzioni digitali con le quali si sta preparando una nuova e più avanzata fase della globalizzazione

Un carattere distintivo dell’economia del Nordest, a partire dalle sue imprese leader, è sempre stata l’apertura internazionale. Negli ultimi tre decenni questa apertura si è espressa non solo attraverso una proiezione commerciale, ma anche con la partecipazione a catene produttive estese a scala globale.
L’emergenza Covid-19 ha tuttavia messo seriamente in discussione questo fattore di forza: dapprima limitando i tradizionali canali dell’export, poi con l’interruzione delle catene di fornitura e la crescita dei prezzi di noli e approvvigionamenti internazionali, gettando così un’ombra sulla tenuta dell’attuale fase di ripresa.
Molti ritengono che questa circostanza non durerà a lungo e che, perciò, si tornerà presto alla situazione pre-Covid, quando la rete mondiale degli scambi tra Paesi riusciva a spostare ogni anno oltre 30 trilioni di dollari di merci.
Ci sono tuttavia valutazioni meno ottimistiche. Se, infatti, si guarda ad alcune tendenze che si erano manifestate già prima del Covid, si può vedere come due importanti fattori stessero già rallentando la dinamica degli scambi internazionali.
Il primo è la politica commerciale, che per motivi diversi – dalla necessità di prestare attenzione alle disuguaglianze interne create dalla globalizzazione, all’obiettivo di tutelare industrie strategiche, fino alle crescenti preoccupazioni ambientali – ha assunto un orientamento sempre più protezionistico.
Questo cambio di prospettiva è iniziato con gli Stati Uniti di Trump, ma è di fatto continuato con Biden, si è poi fatalmente esteso alla Cina di Xi Jinping, investendo di fatto anche la Ue, tradizionale bastione del libero commercio.
Per quanto sia irrealistico un ritorno al mercantilismo, un atteggiamento scettico verso il libero scambio ha trovato una forte spinta dall’esperienza Covid, e sarà perciò destinato a connotare la politica commerciale dei prossimi anni. Un secondo fattore che condiziona il commercio mondiale è lo sviluppo congiunto di tecnologie digitali e nuovi modelli di business.
L’impatto delle nuove tecnologie sul commercio mondiale è in realtà ambivalente. Se da un lato lo sviluppo di sistemi di automazione e robotica integrata ha ridotto l’esigenza delle imprese di delocalizzare le fasi a maggior intensità di lavoro, accorciando così alcune catene di fornitura, dall’altro la digitalizzazione ha reso possibile coordinare a distanza i processi produttivi e alcuni servizi, avvicinandoli ai mercati finali.
Grazie alle tecnologie digitali di ultima generazione, l’integrazione internazionale sta perciò avvenendo sempre più attraverso la crescita di flussi informativi che tendono, in parte, a sostituire i tradizionali flussi materiali.
Non è un caso che proprio mentre rallentava l’interscambio internazionale e frenavano gli investimenti esteri, aumentava invece in misura impressionante il volume di dati scambiati mensilmente da apparati mobili. Se pensiamo all’accelerazione impressa dalla pandemia alla digitalizzazione delle imprese e dei consumi (secondo McKinsey nel 2020 si sono realizzati investimenti digitali da 10 a 20 volte superiori ai programmi pre-Covid), è facile prevedere che questi processi siano destinati a rafforzarsi.
Alcune tecnologie digitali adottate per far fronte all’emergenza – software per teleconferenza e telepresenza, training a distanza, piattaforme per collaborazione in remoto, Virtual-augmented-mixed realty, Digital twins, automazione e robotica integrata – abilitano un maggiore coordinamento a distanza delle attività produttive, quando non l’integrazione vera e propria delle operations a scala globale.
L’impiego di tecnologie blockchain apre nuovi modelli di regolazione degli scambi, assicurando la tracciabilità di processi e componenti nella catena del valore. La possibilità di impiegare il Cloud riduce i costi fissi di accesso e abbassa, di conseguenza, le barriere all’entrata anche per le piccole imprese.
Ancora più dirompente per la geografia della produzione saranno gli sviluppi della manifattura additiva (3D printing), che rende possibile “materializzare” in prossimità dell’utilizzatore il prodotto generato da un flusso di informazioni originate da remoto.
Per quanto alcune di queste tecnologie siano solo all’inizio, il loro sviluppo tende a seguire una dinamica esponenziale, spinta sia da processi di apprendimento tecnico e sociale, sia da esternalità di rete.
Osservando gli effetti della pandemia in questa prospettiva emerge allora una situazione paradossale: se da un lato, infatti, l’emergenza sanitaria ha messo in crisi le tradizionali catene globali di fornitura, dall’altro sta spingendo imprese e consumatori verso l’adozione di tecnologie digitali con le quali si sta preparando una nuova e più avanzata fase della globalizzazione.
Nelle imprese leader del Nordest, ben rappresentate nelle Top 100, questi cambiamenti sono avviati da tempo, e non è un caso che i processi di M&A all’estero abbiano ripreso con forza. Per essere presenti sui mercati più ricchi, come quello Usa o giapponese, o su quelli in continua crescita, come quello cinese e di altre economie emergenti, le imprese hanno oggi bisogno di una presenza diretta, senza la quale i costi “politici” di accesso possono compromettere la competitività dei prodotti.
Le tecnologie digitali forniscono una infrastruttura fondamentale a queste strategie. È tuttavia necessario che le imprese sappiano dotarsi di capitale umano qualificato, senza il quale nessuna tecnologia, nemmeno la più sofisticata, può essere impiegata in modo produttivo.
Qui si incontra un altro tema cruciale per lo sviluppo futuro: la capacità del territorio di accompagnare i nuovi modelli global business delle imprese leader, fornendo sia un supporto alla loro crescita competitiva, sia un ancoraggio per il reinvestimento degli utili generati oltre-frontiera.
Creare assieme alle imprese leader eco-sistemi innovativi per attirare e trattenere gli investimenti, diventa allora il compito chiave di una politica industriale in grado di guardare al futuro. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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