«La musica, un dono in memoria di mio padre»: le note di Nyman per Giancarlo de’ Stefani

Giovedì 14 ottobre a Padova la prima esecuzione assoluta del brano commissionato al compositore dalla famiglia dell’imprenditore

Roberta Paolini

PADOVA. «Mi rendo conto che non posso più essere lo stesso di prima. Tanto vale prenderne atto subito e comportarmi di conseguenza. Ho appreso altrove come si diventa uomo». Sono le ragadi della vita, le ferite che bruciano e pulsano facendo salire sulla superficie della pelle il battito del cuore, dicono che si è ancora vivi. Perché non c’è nulla di più forte che l’incisione del dolore sull’anima, attraverso il dolore nella carne, per assegnare valore e senso alla vita. Soprattutto se quel male è frutto di un sopruso, di un’ingiustizia, della violenza, della guerra.

«Ho appreso altrove come si diventa uomo». Giancarlo de’ Stefani conclude così le sue memorie di prigioniero di guerra. Un prigioniero ragazzo, aveva 20 anni quando fu deportato, che ha provato nella carne come l’esercizio della forza riduca un uomo ad una cosa, come scriveva Simone Weil. E che ha sublimato quell’esperienza, trovando il senso della libertà e dell’uguaglianza in un campo di internamento, durante la Guerra. In tre campi in realtà, dopo essere stato catturato in Albania è stato rinchiuso e deportato per quattro anni prima in Germania e poi in Polonia. «Vicino a lui c’erano altri campi» racconta il figlio Federico «quelli di sterminio nazista».

Ha vissuto la sua giovinezza circondato dal filo spinato, un limite alla libertà imposto, urlato, dalla violenza dei pruni di ferro, a dire oltre di qua non si va, oltre di qua c’è morte sicura.

In quel luogo di tormento e di impotenza, di prigionia, di fronte all’assurda disumanità dell’uomo lui si è scoperto libero e uguale agli altri prigionieri, fratelli con lui nella sorte. Ma la sofferenza non lo ha schiacciato, Giancarlo ha mantenuto saldo il senso della sua integrità, del suo onore, «avrebbe potuto tornare prima» racconta il figlio Federico «se avesse giurato alla Repubblica di Salò». Ha preferito la fedeltà a sé stesso, prigioniero sì, piegato al nemico no.

Tornato nel mondo libero ha scoperto come quel filo spinato che limitava nel corpo la sua libertà era nulla rispetto alla gabbia delle differenze sociali, delle convenzioni, dell’opportunismo e della mediocrità. Si è scoperto uomo, ha compreso chi volesse essere.

Giancarlo de’ Stefani, l’imprenditore padovano che ha fondato assieme al fratello Pierluigi Sit La Precisa, il capo azienda di un gruppo da oltre 2000 dipendenti nel mondo, il padre e il marito amorevole e immensamente amato, mancato, a 83 anni, nel 2004. Di fronte a un uomo così il ricordo è parso insufficiente. Almeno così è sembrato a chi lo ha amato visceralmente per quelle sue cicatrici che lo hanno reso eroico, mosso da amore.

Come poter essere dunque all’altezza di una vita di tal sorta?

La risposta del figlio Federico de’ Stefani, che oggi ha raccolto il testimone in azienda portandola anche alla quotazione in Borsa, è stata la musica. Cosa può più dell’invisibile eternità del suono, la vibrazione stessa del pensiero e dello spirito? «Vivrò fino a che sarò ricordato, mi ha detto nostro mio padre: la mia famiglia e io abbiamo deciso di perpetuare così la sua esistenza, con la musica, che lui tanto amava».

A firmare “In Memoriam Giancarlo de’ Stefani” è Michael Nyman, una composizione per tenore solo e orchestra che andrà in scena in prima mondiale al Teatro Verdi di Padova il 14 ottobre. «Ho conosciuto Michael a Milano grazie a un amico, il Maestro Clive Britton, al quale avevo accennato al desiderio di comporre un testo in memoria di mio padre, che ricordasse un’esperienza molto particolare della sua vita, quella di ufficiale italiano catturato in Albania e deportato in tre diversi campi di internamento, in Germania ed in Polonia».

Federico incontra Nyman a pranzo, gli mostra il libro “Ricordi di Guerra e di Prigionia 1941-1945” scritto da Giancarlo de’ Stefani a quattro mani con la giornalista Annalisa De’ Bernardin, recentemente scomparsa. «Gli ho mostrato alcuni passaggi chiave, uno di questi è quando lui prende atto che quella esperienza di prigionia lo ha reso uomo. E poi i passaggi dove ragiona sull’uguaglianza tra gli uomini e la libertà. Lui si è entusiasmato e mi ha detto sì».

Nyman ha scelto due sezioni di quel libro per ispirarsi alla composizione: la prima è un elenco dei campi di internamento tedeschi. Il testo dell’assolo di tenore nella prima sezione de “In Memoriam Giancarlo de’ Stefani” è tratto da questo lungo elenco di campi di internamento in cui Giancarlo fu deportato tra il novembre 1943 e l’aprile 1945, insieme alle date delle prigionie.

La seconda parte del lavoro è dedicata all’ultima pagina del libro e tratta del suo ritorno alla vita civile a Padova, della nuova frequentazione degli studi universitari e dell’inevitabile senso di isolamento e di spaesamento generato dalle esperienze di guerra, insieme alla distanza che queste sensazioni creavano tra la sua persona, il mondo che lo circondava e i suoi più giovani compagni di università.

«Doveva intitolarsi “Warum”, che era il nome con cui chiamavano una sentinella tedesca, significa “perché” in tedesco ed era il senso di quello che gli è accaduto: “Perché tutto questo?”. Ma Nyman ha composto un pezzo che si intitola “Why” e allora abbiamo optato per “In Memoriam Giancarlo de’ Stefani”» conclude Federico De’ Stefani.

E forse è più bello così: perché non è forse la Memoria l’antico titano figlio di Terra e Cielo e madre delle Muse e quindi di ogni forma d’arte? 

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