Intesa, la filiera vitivinicola: più estero e qualità per ripartire

PADOVA. La situazione del settore vitivinicolo del Triveneto dopo l’emergenza Covid-19 e le sfide per tornare a crescere sono stati i temi al centro del webinar promosso da Intesa Sanpaolo in cui alcune importanti aziende del territorio si sono confrontate in una tavola rotonda per individuare i punti di forza della filiera vitivinicola e gli strumenti e le sfide per la ripresa.
Nel panorama italiano, le regioni del Triveneto totalizzano oltre un quarto della produzione nazionale di vino e quasi il 50% delle esportazioni, con un ruolo di spicco per il Veneto con 10,3 milioni di ettolitri e 2,3 miliardi di euro di esportazioni.
A livello provinciale, Treviso esprime la maggiore produzione di vino, con 4,9 milioni di quintali nel 2019, seguita da Verona con 2,9 milioni, la quale però è prima per valore delle esportazioni di bevande (oltre 1 miliardo di euro nel 2019), mentre Treviso segue con 748 milioni.
Dal 2006 ad oggi, quasi tutte le province del Triveneto hanno incrementato la superficie vitata (contro una media nazionale che ha visto una riduzione di circa il 5%), in alcuni casi anche a due cifre: oltre alla già citate province di Treviso (+57%) e Verona (+20%), anche Venezia (+23%), Pordenone (+21%), Udine (+17%), Padova (+14%) e Gorizia (+11%). Unica eccezione Vicenza (-11%). La superfice vitata è aumentata anche in Trentino Alto Adige (+15%).
Il settore, dopo aver aperto positivamente il 2020, a partire da marzo ha cominciato a risentire pesantemente degli effetti COVID-19, con un crollo del mercato interno che ha toccato il massimo ad aprile (-40% rispetto ad aprile 2019); le esportazioni, che hanno tenuto fino a marzo, sono andate in territorio negativo ad aprile (-6% tendenziale). Questo ha comportato delle criticità sul settore, sia dal lato della domanda (lockdown dell’ho.re.ca. a livello nazionale e internazionale, blocco del turismo), sia dal lato dell’offerta (aumento delle giacenze, pressioni sui prezzi), nonché tensioni finanziarie.
Un’analisi dei punti di forza e debolezza del sistema vino italiano ci può dare alcuni spunti da cui ripartire. In primo luogo, continuare a perseguire la via dei mercati esteri, dove l’Italia sta guadagnando costantemente quote di mercato soprattutto in valore (salite al 20,2%), a fronte di un calo delle quote in quantità. Questo fenomeno è particolarmente evidente sui vini fermi, mentre sugli spumanti la crescita in valore si è accompagnata ad un’exploit anche sul lato delle quantità, con quote praticamente raddoppiate nel decennio.
Il potenziale di mercato offre delle opportunità di sviluppo, che per i vini fermi vedono ancora in pole position il mercato statunitense (al quale si aggiunge la Cina) e per i frizzanti si indirizzano verso tutto l’Estremo Oriente (non solo Cina ma anche Giappone, Singapore, Hong Kong). La dimensione conta per competere sui mercati esteri: le aziende italiane sono ancora piccole rispetto ai competitor francesi e in quest’ottica le strategie di gruppo o le aggregazioni possono rappresentare una risposta valida.
Puntare sulla qualità è un altro fattore importante e su questo la strada è già ben tracciata: il Triveneto è leader nei vini bianchi e sale sul podio anche per i rossi di qualità, grazie alle 53 certificazioni DOP e IGP del Veneto a cui si aggiungono le 19 del FriuliVG e le 13 del TrentinoAA.
Il passaggio verso la qualità produce poi una riduzione del consumo di materia prima, energia, emissioni, e dà ottimi risultati anche in chiave di redditività delle aziende, con un fatturato che è cresciuto, negli ultimi dieci anni, del 66% per le aziende vitivinicole biologiche a fronte di un +28% di quelle “non bio”. Infine, lavorare in sinergia con ristorazione e turismo (l’eno-gastronomia rappresenta una motivazione di viaggio importante) e cogliere le sfide dell’e-commerce e della digitalizzazione, da vincere potenziando le competenze: nel 2019 il mercato italiano online del Food ha espresso un valore di 1,6 miliardi di euro, in crescita del 39% rispetto al 2018.
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