Le catene più corte dei traffici via mare riportano la crescita nel Mediterraneo
Come pandemia e guerra cambiano i traffici mondiali. Deandreis (Srm): «Occasione da non perdere i 700 milioni del Pnrr». Trieste sesto fra i primi quindici porti europei

E la nave va anche se tira aria di tempesta. Il commercio internazionale via mare a livello mondiale continuerà a crescere anche il prossimo anno al ritmo del 2,3%. Guerra e pandemia stanno però cambiando gli scenari dei traffici ridando centralità al Mediterraneo nella mappa mondiale delle merci. Oltre il 60% delle aziende manifatturiere europee e statunitensi prevede nei prossimi tre anni di far rientrare parte della propria produzione asiatica in Europa e negli Stati Uniti a causa della fragilità evidenziate da molte supply chain globali. Le grandi navi portacontainer invertono intanto la rotta e accelerano la tendenza al rientro a casa delle produzioni manifatturiere come insegnano i casi Ikea e Benetton. Questo lo scenario che emerge dal nono rapporto annuale su Italian Maritime Economy elaborato dal centro studi e ricerca Srm di Intesa San Paolo. Continua a pesare la fiammata dei costi dell’energia e l’impennata del prezzo dei noli. Sarà fondamentale spendere bene i 700 milioni stanziati dal Pnrr per il cold-ironing (l’elettrificazione degli ormeggi nei porti).
Dal dossier emerge l’importanza del valore dell’import-export via mare che vale il 70% e il 90% circa in termini di volume dei traffici mondiali. I trasporti marittimi e la logistica contano circa il 12% del Pil globale. In questo quadro l’Asia, e la Cina in particolare, restano al top sia nel segmento container che nel settore dello shipping in generale. Dei primi 20 porti container mondiali, 8 sono cinesi e altri 5 asiatici. Il peso della politica zero-Covid della Cina ha però determinato la chiusura del porto di Shanghai, che da solo copre il 20-30% del traffico cinese, e ha rallentato e congestionato il traffico marittimo globale dove il canale di Suez resta la porta mondiale delle merci.
Il Mediterraneo è diventato un’area di forte competizione portuale: in particolare Trieste si piazza al sesto posto nella classifica dei primi quindici porti europei per traffico merci. Ciò anche grazie alla scelta di puntare sul traffico ro-ro (in particolare verso la Turchia) e sui traffici intermodali e ferroviari che -rileva il report Srm elaborato dal think thank diretto da Massimo Deandreis- sono sempre più strategici nell’era dei nuovi conflitti e della guerra in Ucraina. Inoltre la pandemia prima e il conflitto poi impongono «una trasformazione radicale nella fruizione dei servizi energetici e dei trasporti». Il segmento energia (petrolio, gas e chimici) oggi copre infatti il 32% del totale movimentato via mare.
Nel Mediterraneo si gioca così la partita del futuro: «Le navi puntano su rotte diverse da quelle del Mar Nero. Pur coprendo solo l'1 per cento dei mari del mondo, il Mediterraneo rappresenta il 20% del traffico marittimo mondiale ed è attraversato dal 27% delle linee di transito container e di qui transita il 30% dei flussi di petrolio e gas nord-sud ed est-ovest (compreso l’oleodotto di Trieste)». Il Canale di Suez, anche durante il conflitto «mostra ancora la sua dinamicità»: mai così elevato il numero di navi transitate nei primi otto mesi del 2022 (15.329 navi, in un aumento del +15,1%) .
Il report di Srm-Intesa affronta poi la questione energetica che diventa rilevante specie in Italia dove i porti, come a Trieste, sono collocati nelle città. In questo senso il Pnrr è un’opportunità da cogliere: in ballo ci sono 700 milioni per il cold ironing per garantire la fornitura di energia elettrica da terra durante le fasi di ormeggio delle navi: ««Da questo rapporto emerge con chiarezza come la pandemia e la guerra - sottolinea il direttore generale di Srm IntesaSanpaolo Massimo Deandreis abbiamo ridato centralità al Mediterraneo, che si sta trasformando da semplice mare di transito a mare dove crescono i commerci e le attività logistiche e dove i porti, a partire da quelli italiani, diventano sempre più importanti, anche nel loro nuovo ruolo di hub energetici».—
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