Giovannini: «Porti, no alle authority privatizzate»
Intervista all’ex ministro alle Infrastrutture del governo Draghi: «Il governo deve spiegare gli obiettivi della riforma»

Enrico Giovannini, economista, già ministro alla Infrastrutture e Mobilità Sostenibili del governo Draghi e fondatore e direttore scientifico dell'Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile (Asvis). Professor Giovannini, la proposta del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, per risolvere il problema dell'enorme debito pubblico apre ad una nuova stagione di privatizzazioni e liberalizzazioni dei servizi. Che ne pensa?
«É indubbio che il nostro Paese sia poco competitivo in molti settori. Penso soprattutto al terziario dove la produttività dell'Italia è inferiore alla media europea, ma sappiamo, come dimostra anche l'esperienza riformatrice del governo Draghi, quanto sia difficile definire un'agenda in grado di rilanciare la concorrenza nei servizi. Ci sono blocchi di interesse corporativi che frenano questo processo di modernizzazione e spingono al ribasso gli obiettivi di riforme che sarebbero invece molto giuste e opportune. Pensiamo solo a quella dei taxi e degli ncc».
É d'accordo con la proposta di Tajani di privatizzare anche i porti?
«Se si tratta di privatizzare le Autorità portuali no. Ma sappiamo che il Ministro Salvini, che ha espresso la sua contrarietà alla proposta di Tajani, sta preparando una riforma dei porti. Spero che, prima di presentare delle norme, il governo, come avviene all'estero, prepari un documento in cui spieghi nel dettaglio gli obiettivi che si pone, così da discutere con le organizzazioni imprenditoriali e sindacali prima di avere un testo giuridico presentato in Parlamento. Stiamo parlando di infrastrutture strategiche per lo sviluppo della nostra economia e non bisogna farsi prendere dalla fretta, anche perché nel settore portuale ci sono interessi contrapposti anche su scala internazionale».
I porti sono il sistema nervoso sul piano strategico e dei traffici commerciali di un Paese. Questione delicata anche se pensiamo al Memorandum con la Cina, che coinvolge il porto di Trieste, cui il governo si prepara a dare disdetta. L'ingresso dei privati aumenterebbe l'efficienza di un porto?
«Per molti anni si è ragionato sullo sviluppo dei porti come realtà isolate da cui dipenderebbe in modo cruciale l'efficienza dei traffici. In realtà, essi fanno parte di reti infrastrutturali e logistiche e, se privi di collegamenti ferroviari, viari e aeroportuali, rischiano di vanificare qualsiasi obiettivo di modernizzazione e di efficienza. Un porto da solo non fa miracoli. Per questo, credo che la governance dei porti debba restare in mano pubblica».
Il governo Draghi ha cercato di liberalizzare i servizi e di potenziare gli investimenti. Oggi a che punto siamo?
«Da ministro per le Infrastrutture e Mobilità Sostenibili del governo Draghi ho inserito nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza quasi 5 miliardi di investimenti per i porti; abbiamo anche operato un cambiamento profondo delle regole che consentono lo sviluppo degli scali italiani, che devono essere più efficienti e sostenibili. Inoltre, abbiamo avviato la riforma delle concessioni portuali, conclusa dal Governo Meloni. In questo modo abbiamo reso disponibili quasi tutti i 9 miliardi di euro che nell'allegato Infrastrutture del Documento di Economia e finanza per il 2020-21-22 erano stati indicati come fabbisogno di investimenti infrastrutturali nei porti italiani».
Con quali obiettivi?
«I porti, come dicevo, non sono monadi ma vanno integrati in una rete infrastrutturale, logistica e digitale e trasformati in comunità energetiche per accelerare la transizione ecologica. Per questo abbiamo previsto collegamenti ferroviari con 11 porti (oltre che 11 aeroporti e 9 centri merci), investito sulle zone retroportuali, trasformato i porti in comunità energetica, rilanciato, dopo anni di inerzia, la Piattaforma Logistica Nazionale per la digitalizzazione dei porti».
Nei porti va stimolata dunque la concorrenza fra privati?
«Questo dovrebbe essere uno degli obiettivi della riforma delle concessioni portuali, la quale consente ai privati tempi di avere concessioni abbastanza lunghe per poter rientrare negli investimenti. Certo, i porti italiani soffrono delle lungaggini burocratiche tipiche delle amministrazioni pubbliche, ma le cose possono cambiare. Pensi che con un'altra riforma realizzata nell'ambito del PNRR abbiamo riformato le procedure per definire i piani strategici pluriennali previsti dalla legge Delrio del 2016. Prima del nostro intervento solo un porto aveva fatto il piano, dopo la riforma sono stati sei e gli altri si stanno attrezzando. L'esperienza del Governo Draghi dimostra che si può intervenire con la collaborazione di tutti, e anche rapidamente, ma qualsiasi nuova riforma deve far migliorare la situazione, tenendo conto delle grandi differenze che esistono tra i porti italiani, non riportare indietro le lancette».
Che autunno economico ci aspetta?
«L'economia europea rischia la stagnazione. Ciò accade anche perché le politiche monetarie combattono giustamente l'inflazione, ma incidono negativamente sulla crescita economica. Come abbiamo sentito nei giorni scorsi, le banche centrali negli Stati Uniti e in Europa ritengono l'inflazione attuale ancora troppo alta e si preparano a possibili nuovi aumenti dei tassi. Ci troviamo inoltre in un quadro internazionale condizionato dal forte rallentamento della Cina».
E l'Italia?
«Nel secondo trimestre c'è stata una riduzione del Pil a causa di un andamento sfavorevole del settore manifatturiero che spesso anticipa l'andamento del terziario. Ci attendono mesi difficili con molti rischi all'orizzonte».
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