Bassanini: «La Rete unica sarà utile ma solo se veramente indipendente»

Il presidente di Open Fiber: le autorità si sono espresse contro l’integrazione verticale, per dire sì l’Ue ne terrà conto
TORINO. «Sulla rete unica siamo all’inizio di un percorso. Non conosco i dettagli, e sto a quanto detto dai ministri interessati. Ma perché la società funzioni serve una chiara definizione dei poteri e delle responsabilità. È fondamentale che sia indipendente: in pochi anni dovrà fare investimenti rilevanti». 
 
Parla Franco Bassanini, presidente di Open Fiber. Lo fa alla vigilia del Cda con cui Tim darà il via libera alla nascita di FiberCop, assieme a Kkr e a Fastweb. Al suo interno, successivamente, confluiranno le attività di Open Fiber, al momento controllata al 50% da Cassa depositi e prestiti e Enel. 
 
Professore, lo schema funziona? 
 
«Leggo che si costruirà un’unica infrastruttura di Tlc, condivisa da tutti, neutrale, indipendente, con una forte governance pubblica per garantire l’accelerazione degli investimenti e l’effettiva parità di trattamento tra gli operatori che offrono servizi e contenuti. Sarà una infrastruttura “a prova di futuro”, fibra ottica, 5G, e intelligenza distribuita nella rete, che sarà sottoposta alle Autorità di regolazione. Da tempo sostengo che è la soluzione migliore per assicurare a tutti quello che è il nuovo diritto universale della gigabit society. Non ho cambiato idea». 
 
Questa soluzione garantisce tutti gli operatori o alla lunga rischia di favorire Tim? 
 
«Vodafone, Wind3 e Sky dopo l’incontro con i ministri Gualtieri e Patuanelli hanno dato valutazioni positive. Coinvolgere i concorrenti di Tim è decisivo: possono contribuire alla digitalizzazione del Paese e saranno garanti degli investimenti e della neutralità della rete. Rilevo che l’accordo supera d’un balzo la storica resistenza di Tim ad accelerare la migrazione dal rame alla fibra». 
 
La società riuscirà a superare gli ostacoli dell’Antitrust, soprattutto quello europeo? 
 
«C’è l’accordo di rimettersi alle valutazioni delle Autorità di regolazione. Ricordo che le due Autorità nazionali (Agcm e Agcom), in un documento del 2014, indicarono espressamente l’infrastruttura unica, neutrale, condivisa e non verticalmente integrata, come soluzione migliore. L’Autorità europea non potrà non tenerne conto. Le Autorità valuteranno quali regole di governance possono assicurare la neutralità della rete, condizione per poter godere di trattamenti più favorevoli agli investimenti e per rispettare i vincoli concessori sulle aree bianche, e dunque evitare di bloccare gli investimenti e perdere i fondi europei del piano sulla banda ultra-larga». 
 
A questo punto la fusione con Oper Fiber è cosa fatta o intravvede dei problemi? 
 
«Vanno definiti molti dettagli, a partire dal valore degli asset conferiti da Tim, da Open Fiber, dagli altri operatori. Una corretta valutazione di mercato è dovuta, per non penalizzare nessuno e per non incorrere nel divieto di aiuti di Stato o in responsabilità per danno erariale. Occorrerà poi definire l’architettura di rete: quella di Open Fiber prevede 20 Gpon per ciascuna area, quella di Flash Fiber 3 o 4. La prima garantisce piena parità di trattamento tra tutti gli operatori, la seconda no». 
 
C’è chi accusa Open Fiber di ritardi, in particolare nelle aree a fallimento di mercato: è così? Con questa operazione il problema sarà risolto? 
 
«Innanzitutto: non è vero che Open Fiber sia nata per portare la fibra nelle aree bianche. Al contrario, al pari di Metroweb, nacque per portare la fibra fino alle case delle città. Tim si fermava agli armadi. E nelle città Open Fiber ha già connesso in tre anni più di 6 milioni di abitazioni e uffici. Poi Open Fiber ha vinto le gare per costruire la rete pubblica nelle aree bianche, e qui il lavoro si è rivelato più complicato. Ritardi nella firma delle concessioni, anche per i ricorsi di Tim, decine di migliaia di autorizzazioni da ottenere, regole pubbliche sugli appalti, collaudi complicate. Il decollo è stato più lento del previsto, ora si sta accelerando. Molto spesso, poi, i ritardi riguardano, nei medesimi Comuni, non le aree bianche, ma le aree grigie di competenza di altri operatori. Qui la rete unica potrà risolvere il problema, aumentando la convenienza a investire». 
 
Il fatto che nella nuova società ci sia Kkr, un fondo che ovviamente mira a realizzare profitti, può essere un problema per l’italianità delle infrastrutture? E il fatto che la rete resti sotto il controllo di Telecom, che ha come azionista Vivendi, è un rischio? 
 
«Per infrastrutture fisiche collocate in Italia, non è rilevante di chi è la proprietà. Conta chi decide su investimenti e gestione della rete. Se la governance sarà pubblica lo farà Cdp». 
 
Tim avrà la maggioranza della rete e non ci sarà una scissione. Si aspetta che prima o poi l’ex monopolista torni in mani pubbliche? 
 
«La valutazione degli asset che saranno conferiti, da Tim, da Cdp e Enel, da altri, è tutta da fare, tanto più se, come sostiene giustamente la ministra dell’Innovazione Pisano, confluiranno anche le infrastrutture di rete del 5G e i data center di prossimità. Sulla base degli asset conferiti saranno suddivise le azioni, e dunque i dividendi. Ma non la governance, che sarà indipendente e neutrale, con un determinante ruolo di Cdp. Non c’è ragione per una nazionalizzazione di Tim». 
 
La nuova società avrà un equilibrio delicato. La governance riuscirà a reggere? 
 
«Serve una definizione chiara dei poteri e delle responsabilità. L’insistenza su una governance pubblica, a guida Cdp, nasce anche da questa preoccupazione». —
 

Riproduzione riservata © il Nord Est