Atlantia si chiude un’era: l’assemblea approva la cessione di Autostrade alla cordata Cdp e fondi

La proposta di cessione è stata approvata con il voto favorevole di 1.129 azionisti pari al 86,86% del capitale sociale rappresentato in Assemblea. Hanno espresso voto contrario 60 azionisti pari al 12,75% del capitale. Si apre un nuovo capitolo per la holding controllata da Edizione dei Benetton

Roberta Paolini
Angelo Carconi
Angelo Carconi

ROMA.

A quasi mille giorni da quel tragico 14 agosto, in cui persero la vita sotto il Ponte Morandi 43 innocenti, Autostrade torna con un azionista dominante pubblico. La firma non è stata ancora apposta, ma l’assemblea dei soci di Atlantia riunitasi ieri, ha dato il suo nulla osta al passaggio della maggioranza di Aspi, pari all’88 per cento, alla cordata formata da Cdp (51%) e dai fondi internazionali Macquarie e Blackstone, ciascuno con il 24,5 per cento. L’offerta vincolante che è stata votata dai soci valuta il 100% di Aspi 9,3 miliardi, senza considerare gli eventuali ristori.

Si chiude con un voto quasi unanime uno dei dossier industriali più complicati e spinosi degli ultimi trent’anni. Presenti in assemblea 1201 azionisti che rappresentavano il 70,39 per cento del capitale sociale della holding di infrastrutture. La proposta del Consiglio di Amministrazione è stata approvata con il voto favorevole di 1.129 azionisti pari al 86,86% del capitale sociale rappresentato in assise. Hanno espresso voto contrario 60 azionisti pari al 12,75% del capitale rappresentato e si sono astenuti 12 azionisti pari allo 0,39% del capitale rappresentato.  

Oltre a Sintonia-Edizione, holding dei Benetton ed azionista di riferimento di Atlantia con il 30,2% e alla Crt (5,5%), anche la maggior parte degli investitori istituzionali ha dato il proprio placet alla vendita di Aspi. Tra i nomi principali spiccano GIC, l’ex fondo di Singapore, e anche l’hedge fund Tci, che era stato il più battagliero sul dossier di vendita. Mentre tra gli istituzionali che hanno votato contro spicca il nome di Lazard.

Una differenza abissale rispetto a quello che avvenne nell’assemblea del 29 marzo, quando i soci, chiamati al voto sulla scissione, videro solo due soggetti votare contro e quindi per la prosecuzione del negoziato con Cdp e i fondi, ovvero Edizione e la Fondazione Crt.

Dall’assise, dunque, il management di Atlantia esce molto rafforzato, con il successo della linea portata avanti da Carlo Bertazzo che ha ottenuto una soluzione di mercato per una trattativa, a tratti durissima, con una controparte cambiata per tre volte e con una pendenza di revoca della concessione presente per tutta la durata del negoziato.

Ora si volta pagina. Il cda convocato il 10 giugno darà forza a questo orientamento dei soci deliberando per la vendita, mentre l'accordo con Cdp dovrebbe essere siglato entro fine giugno. Il closing dovrebbe invece arrivare entro fine anno e comunque non oltre il 31 marzo 2022.

Con questa operazione Atlantia si troverà in cassa 8,18 miliardi (pari all’88% dei 9,3 miliardi del valore di Aspi) con cui quasi certamente la holding abbatterà il suo debito pari a 4,3 milioni e si troverà scaricata anche del debito di Autostrade, pari a circa 9 miliardi (8,916 miliardi per la precisione). Questo significa che aggiungendo le disponibilità liquide (circa 1 miliardo) la nuova Atlantia potrebbe avere zero debito e diponibilità per 4,78 miliardi, almeno. Tutte munizioni da mettere in un settore delle infrastrutture e della mobilità molto in fermento dopo la pandemia.

Ai Benetton, ovviamente, da questa vendita non arriverà direttamente nulla. Edizione, inoltre, prevede per i propri conti 2021 di non ricevere dividendi dalle proprie partecipate e controllate.

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