La vendita della Riello e la partita industriale della termomeccanica
L’Europa congela lo stop alle caldaie dal 2029 ma la fine degli incentivi ha cambiato il mercato. Il Veneto deve affrontare una trasformazione che mette in gioco aziende per un miliardo di ricavi

La termomeccanica italiana ha iniziato a vivere a partire dal 2024 una fase di profonda trasformazione strutturale non più rinviabile.
Per la prima volta dopo il ciclo drogato degli incentivi, il settore ha dovuto misurarsi con la domanda reale, mentre il quadro normativo europeo ha accelerato la direzione della transizione, senza però offrire un percorso lineare.
Il Nord Est, dove si concentra una storia industriale molto significativa della manifattura del riscaldamento, vive questa fase come un passaggio cruciale: i grandi player del territorio — Baxi, Ferroli, Riello — si trovano simultaneamente a dover difendere la propria capacità produttiva e a ridefinire il proprio perimetro tecnologico.
La dimensione del comparto resta significativa. In Italia nel 2024 Assotermica – Anima Confindustria quotava 11.000 addetti, 3 miliardi di euro di fatturato annuale e 27 aziende che permettono al Paese di mantenere una posizione di leadership europea nelle caldaie a condensazione. Un dato che non restituisce totalmente la dimensione del comparto, se si considera che la sola Ariston ha fatturato 2,6 miliardi (e nei primi nove mesi del 2025 siamo a quasi 2 miliardi di ricavi) e le tre aziende principali del comparto, Ferroli, Riello e Baxi, in Veneto sfiorano, nonostante il momento, il miliardo aggregato.
Un settore con un importante peso economico che tuttavia è di fronte ad un bivio, dopo che il mercato ha sostanzialmente smaltito la volatilità del biennio Superbonus. Va ricordato, giusto per avere una dimensione, che dal 2024 sono andati fortemente contraendosi gli incentivi.
Solo per l’efficientamento energetico, scriveva il Cresme, si è passati dai 46,3 miliardi di euro investiti del 2022, ai 41,7 del 2023, ai 16,6 del 2024, ai probabili 6 miliardi del 2025. L’intero mercato della riqualificazione ha segnato frenate importanti, ma non della dimensione della caduta dei superbonus. Vi sono, in questa difficile fase di transizioni, comportamenti da decifrare non così semplici e diretti.
Su questo scenario si è innestata la variabile normativa. La direttiva EPBD 2024, entrata in vigore l’8 maggio 2025, ha definitivamente vietato — a partire dal 1° gennaio dello stesso anno — qualunque forma di incentivazione pubblica alle caldaie alimentate da combustibili fossili, fissando inoltre il divieto di produzione e commercializzazione per il 2040. La Legge di Bilancio 2025 ha tradotto questa prescrizione in modo particolarmente rigido sul fronte interno, escludendo le caldaie dal perimetro delle detrazioni edilizie e di riqualificazione energetica. Da allora, però, Bruxelles ha mostrato di voler fare marcia indietro nel percorso regolatorio. La bozza di revisione dell’Ecodesign messa in consultazione questo mese ha cancellato l’ipotesi di stop alle vendite dal 2029, contenuta nel documento del 2023. La Commissione ha rivisto i parametri tecnici minimi di efficienza in modo da non escludere le caldaie a condensazione e addirittura quelle tradizionali. È un rallentamento della transizione tecnologica, non un’inversione di obiettivi: l’eliminazione completa delle tecnologie a combustibili fossili entro il 2040 resta un’indicazione chiara, seppur formalmente «indicativa».
In questa cornice, il Nord Est rappresenta una cartina di tornasole. La vicenda Riello — storica azienda fondata nel 1922 a Legnago — ne è l’esempio più evidente. Il fatturato si è ridotto a circa 430 milioni, con un arretramento di oltre 200 milioni rispetto a dieci anni fa. La controllante Carrier Global Corporation ha avviato nel 2025 il processo di cessione del business bruciatori e riscaldamento, includendo marchi complementari come Beretta. Sul tavolo sono arrivate offerte vincolati. Ariston Group, leader del settore con 2,6 miliardi di ricavi nel 2024, è considerata la candidata industrialmente più coerente, forte di un piano di investimenti in Italia da 500 milioni tra 2022 e 2028, metà dei quali destinati a R&S. Allo stesso tavolo siedono però anche Ferroli, che nel 2024 ha registrato un fatturato di 166,9 milioni (-19,4% rispetto al 2023) e prosegue un percorso di ristrutturazione complesso, e i gruppi cinesi Haier (1,5 miliardi il fatturato della controllata italiana Candy Hoover Group) e Midea (circa 43 miliardi di dollari di ricavi, che in Veneto già detiene la feltrina Clivet), entrambi con dimensioni tali da ridefinire gli equilibri industriali europei. Per Baxi, con sede a Bassano del Grappa e parte del gruppo Bdr Thermea, la transizione è stata interpretata scegliendo una posizione “multi-tecnologica”: gas, pompe di calore, sistemi ibridi per adattarsi alla domanda in modo graduale, senza forzature. La traiettoria tecnologica appare in effetti tutt’altro che lineare. Il 2040 resta il punto d’arrivo, ma il giungervi richiede una progressiva e realistica sostituzione del parco installato, oggi composto secondo le stime per oltre il 70% da impianti alimentati a gas.
Non si tratta soltanto di tecnologia. La vendita di Riello, il riassetto di Ferroli, la solidità selettiva di Baxi sono le tre declinazioni di una medesima domanda: l’Italia vuole ancora essere un Paese che produce tecnologie per il calore o intende trasformarsi in un mercato di consumo aperto all’importazione?
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