Porti, appello di D’Agostino: “Scenari complessi, lo Stato ritorni alla regia”
Il presidente del Porto di Trieste interviene nel dibattito sulla proposta di riforma del viceministro Rixi: “Siamo l’unico Paese avanzato dove la presenza pubblica nelle concessionarie è vietata”

Lo Stato deve riacquistare capacità di indirizzo strategico e sui porti come avviene in tutta Europa. In questa direzione va la riforma annunciata dal viceministro alle Infrastrutture Edoardo Rixi: «Credo che sia fondamentale non far subire agli italiani le decisioni prese dagli altri, non ci possiamo far dettare le regole da olandesi o francesi. Vogliamo essere protagonisti o giocare di rimessa», ha detto Rixi a un convegno sullo shopping in settimana. Il progetto di riforma portuale punta a garantire uno strumento che permetta alle Authority «di giocarsela alla pari con gli interessi privati». Zeno D’Agostino, il top manager che ha rilanciato il porto di Trieste e da poco presidente della European Sea Port Organization (Espo) l’associazione dei porti europei, condivide l’idea di fondo di Rixi perchè giustificata dai nuovi scenari geopolitici fra guerra e crisi energetiche: «É vero che l’Italia -sottolinea D’Agostino- è rimasto l’unico Paese dova la presenza pubblica nelle società concessionarie è diventato una sorta di tabù. La presenza dello Stato esiste invece in tutta Europa e nei grandi centri dello shipping mondiale come Rotterdam, Amburgo e Anversa».
Tutto è cominciato con la grande rivoluzione della legge 84/94 che aveva sancito la ritirata dello Stato dai porti gestiti fino a quel momento da Consorzi che avevano alla fine accumulato molti debiti. Nella visione di D’Agostino, quella legge ha dato il via alla lunga stagione «virtuosa» della separazione fra le aree demaniali di proprietà dello Stato e le Autority portuali. Tutto bene, ma oggi le guerre fredde sono diventate “guerre calde” e richiederebbero un ritorno della mano pubblica anche se in versione neutrale e di controllo. Negli ultimi due anni, osserva il presidente dell’Auhority portuale che governa sul porto di Trieste, la geopolitica mondiale ha subito infatti sconvolgimenti epocali.
In questo scenario nei pochi e importanti terminal del Paese che governano sui traffici di merci ci sarebbe bisogno di nuovo di un controllo strategico da parte dell’Authority pubblica: «Trasformare i porti in società per azioni non significa automaticamente risolvere il problema. Utile invece sarebbe che le Authority potessero partecipare ai servizi di interesse economico generale, e avere proprie partecipazioni nei terminal. Non si può delegare un ruolo di indirizzo strategico geopolitico a società totalmente private». D’Agostino cita come esempio il porto Capodistria che è a controllo pubblico. E sottolinea che «ovunque è prevista una quota pubblica che preserva l’indirizzo strategico nelle società concessionarie mentre in Italia invece è vietata».
Nella governance dei grandi terminalisti mondiali c’è una quota pubblica come Psa, l’Autorità portuale di Singapore, Dp World che appartiene agli Emirati arabi, e lo stesso Hamburger Hafen und Logistik Ag (Hhla) controllato con una quota del 68,4% dalla municipalità di Amburgo ed entrato nella gestione della Piattaforma logistica del porto giuliano. Nelle infrastrutture dei porti italiani dovrebbe esserci in sostanza un ritorno dello Stato in un ruolo di supervisione e controllo neutrale: «Il Golden Power, la possibilità di veto del governo su interessi strategici rilevanti, non consente di intervenire in tempi rapidi», sottolinea D’Agostino.
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