Plastica monouso, Zelcher: no all’ideologia e più chiarezza in Ue
Parla il presidente dell’associazione europea dei trasformatori EuPC (European Plastic Converters) e amministratore delegato del Gruppo vicentino Crocco spa specializzato nella produzione di imballaggi flessibili in polietilene

Zelcher (EuPC): «No all’ideologia, più chiarezza in EU sulla plastica monouso»
di Federico Piazza
VICENZA. Caro energia ed incertezze sull’applicazione della nuova direttiva europea Sup che bandisce la plastica monouso. Sono le due questioni che impattano a inizio 2022 sull’industria europea dei produttori di articoli in plastica. Cioè su un vasto settore formato nel continente da 50.000 aziende che fabbricano una miriade di prodotti che accompagnano le attività e i consumi giornalieri di cittadini e imprese nei settori più diversi.
Ne parla Renato Zelcher, presidente dell’associazione europea dei trasformatori EuPC (European Plastic Converters) e amministratore delegato del Gruppo vicentino Crocco spa specializzato nella produzione di imballaggi flessibili in polietilene.
Presidente Zelcher, quali sono i numeri dell’industria europea delle materie plastiche?
«Sono tre i segmenti della filiera della plastica: i produttori, i trasformatori e i riciclatori.
I produttori di polimeri in Europa sono un numero relativamente ridotto di aziende, spesso multinazionali.
I trasformatori sono il comparto più ampio, che rappresenta oltre il 90% dell’industria continentale sia come addetti (1,6 milioni) sia come numero di imprese (50.000, nella stragrande maggioranza aziende a carattere famigliare con meno di 50 dipendenti) e circa il 72% del giro d’affari totale (260 miliardi di euro, per una produzione annua di oltre 50 milioni di tonnellate di articoli plastici), settore in cui EuPC in Europa rappresenta 28 associazioni nazionali e 18 organizzazioni settoriali.
I riciclatori pesano per una quota inferiore al 2%».
Quali sono i principali ambiti di applicazione della plastica?
«Il packaging in Europa rappresenta il 39,6% del comparto della trasformazione plastica, di cui all’incirca la metà per l’alimentare. Seguono i prodotti per le costruzioni (20,4%), l’automotive (9,6%), dispositivi elettrici ed elettronici (6,2%), articoli per la casa e tempo libero e sport (4,1%), agricoltura (3,4%), e così via».

Quanto pesa la plastica italiana?
«L’Italia è il secondo Paese europeo nella trasformazione delle materie plastiche dopo la Germania, con il 13,8% di quota di mercato. Ed essendo assieme alla Spagna il maggior produttore di articoli monouso, è particolarmente colpita dall’entrata in vigore della nuova direttiva Sup, che l’Italia ha recepito in un modo che l’Ue non condivide e che potrebbe portare all’apertura di un contenzioso con Bruxelles con relativa procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese».
Cosa prevede la Sup e quali sono le criticità?
«La direttiva europea Sup (Single-use plastics) è stata adottata nel 2019, approvata in tempi singolarmente molto rapidi, ed è ora in fase di recepimento dai singoli Stati membri Ue. Ma ci sono differenze da Paese a Paese che rendono difficile per l’industria di settore programmare con certezza gli investimenti. In termini generali la Sup bandisce la commercializzazione di molti oggetti monouso in plastica come piatti, posate, cannucce, bastoncini cotonati e per palloncini, etc., vietando la vendita di nuovi prodotti e consentendo solo l’esaurimento delle scorte precedenti. Multe da 2500 a 25.000 euro per i trasgressori. L’Italia però, per esempio, con il D.lgs. 196/2021 entrato in vigore il 14 gennaio 2022 ha recepito la direttiva prevedendo un’applicazione meno rigida dei parametri: il divieto non si applica ai prodotti realizzati in materiale biodegradabile e compostabile con percentuali di materia prima rinnovabile uguali o superiori al 40% e, dal 1° gennaio 2024, superiori almeno al 60%. Il problema è che la definizione “monouso” è un po' sibillina: per alcuni aspetti non è chiara. C’è molta incertezza, frutto della fretta di matrice ideologica con cui la direttiva è stata fatta e delle pressioni delle diverse lobby nei vari Paesi. Ma l’incertezza mette in grande difficoltà le aziende che non sanno dove e su che tecnologie investire. E se in alcuni Paesi dell’Ue una cosa si può fare e in altri no, c’è anche un problema sulla libera circolazione delle merci».

Che cosa si sarebbe dovuto e si può ancora fare di diverso?
«In genere queste decisioni si prendono con più calma, basandosi sugli studi scientifici. Ci sono lacune alle quali occorrerà mettere mano. Una buona base di partenza a livello europeo è quella della Circular Plastic Alliance (CPA), a cui partecipano la Commissione, i trasformatori e i brand owner, dove si è condiviso l'obiettivo di raggiungere i 10 milioni di tonnellate di plastica riciclata utilizzata nel mercato Eu entro il 2025. Questo è un obiettivo concreto e chiaro, certamente ambizioso, a cui come industria ci si adegua investendo di conseguenza per raggiungerlo. Fondamentale è stabilire un obiettivo, per capire quale strada da seguire in tutta Europa. E per agire con efficacia basterebbe valutare le best practice dei singoli Paesi, su cui in Italia siamo all'eccellenza».
In cosa consiste l’eccellenza italiana?
«In tempi non sospetti con la creazione dei consorzi privati abbiamo di fatto finanziato la raccolta differenziata. Il Conai, suddiviso nelle varie aree plastica, vetro, etc., finanzia i Comuni sulla differenza di costo tra la raccolta differenziata e indifferenziata. Nell’ambito delle materie plastiche, con il Corepla sui prodotti si paga un contributo differenziato a seconda della maggiore o minore facilità di riciclo. Nel caso del packaging, per esempio, negli ultimi 10-15 anni questo ci ha portato a una quota di riciclo del prodotto immesso a consumo di circa il 50%. Si può dire che magari non è abbastanza, ma diamoci degli obiettivi! Quello europeo è di arrivare al 55% per il 2025-2030, quindi non siamo lontanissimi».
Come arrivarci?
«Se impostassimo la discussione sugli obiettivi da raggiungere e su come raggiungerli, anziché sui divieti e i balzelli burocratici, il discorso cambierebbe. Ma siccome abbiamo sempre bisogno di un nemico da combattere, ora il capro espiatorio è la plastica. La questione sono i comportamenti di tutti: produttori, consumatori ed enti pubblici. È importante che anche i Comuni facciano la loro parte nella corretta gestione dei rifiuti (il Veneto su questo è molto virtuoso, ma si assiste a un miglioramento anche in altre regioni d’Italia che erano più indietro)».
E nel riutilizzo della plastica a uso industriale cosa sta avvenendo?
«Per la plastica di impiego industriale, nel riciclo sono stati fatti investimenti importanti in questi anni e si stanno creando nuove tecnologie. La soluzione preferita è quella del riciclo meccanico, quindi scarti di plastica utilizzati riciclati meccanicamente per ottenere nuova materia prima. Mentre per le frazioni piccole o per le quali la selezione meccanica è molto complicata, si è sviluppata una tecnologia di riciclo chimico con cui si torna ad avere una materia prima comparabile alla vergine. Con l'utilizzo composto di riciclo meccanico fin dove è possibile e di riciclo chimico e altre soluzioni si può arrivare quasi al 100%».
L’altra questione per il settore è la congiuntura delle materie prime e dell’energia.
«Mai visto nella mia lunga esperienza lavorativa una tempesta perfetta così lunga. Negli ultimi due anni la pandemia, poi la persistente scarsissima disponibilità di materie prime con i relativi fortissimi rincari, i problemi della logistica con i costi elevatissimi dei container, e ora la bomba energetica che è veramente drammatica. Basti pensare che il Prezzo Unico Nazionale (PUN) della corrente elettrica del mercato spot in Italia è stato nel 2021 del 222% più alto del 2020, e nel 2022 l’aumento delle quotazioni supera il 480%. Si è passati da un costo medio sulla borsa energetica di 45 euro a Megawattora nel 2019 a 220 euro oggi, dopo aver toccato punte di 400 euro a dicembre. Con un trend simile in tutti i principali mercati elettrici nazionali europei. E il TTF, principale benchmark europeo sul prezzo spot del gas naturale, è salito dal 10,09 del periodo ottobre 2019 – settembre 2020 al 95,11 di ottobre-dicembre 2021, con previsioni che rimanga oltre 80 per tutto il 2022. Crescita simile per il mercato PSV in Italia».
Quale impatto sull’industria delle materie plastiche?
«Situazione non sostenibile per le imprese. Della plastica magari si parla un po’ di meno rispetto ad altre industre molto colpite, ma siamo comunque un settore energivoro. E questo livello di prezzi e di forte volatilità della materia prima petrolifera e dell’energia rende difficile fare le quotazioni e riversarle sui clienti, cosa che però dobbiamo fare. Quando tutti questi rincari si saranno completamente scaricati a valle, l'inflazione sarà più alta del 5% teorico odierno. Per completezza di scenario, segnalo che, oltre al problema materie prime ed energia, le aziende del nostro settore sono state colpite anche negli investimenti industriali dalla carenza sui mercati internazionali di microchip, con i tempi di consegna dei macchinari per lo stampaggio di materie plastiche che si sono allungati di parecchio».
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