Manovra, Liverani apre al governo: «Le assicurazioni possono essere un motore di equità sociale»

Il presidente di Ania al Mib Trieste: «Siamo pronti a contribuire alla manovra, ma senza indebolire il nostro ruolo di protezione per famiglie e imprese. L’Italia resti unita anche nel settore assicurativo»

Giorgia Pacino
Il presidente di Ania al Mib Trieste
Il presidente di Ania al Mib Trieste

Non si tira indietro di fronte a un «supporto di solidarietà» il settore delle assicurazioni, purché sia dettato da «criteri di proporzionalità, equità e ragionevolezza».

Farlo vorrebbe dire «rinunciare a quello che è il nostro vero obiettivo: trasformare la percezione di un settore che oggi viene considerato un semplice modo di fare impresa nel potente strumento di equità sociale e soluzione di problematiche di interesse collettivo quale esso è, che possa spianare la strada per la soluzione di problemi socioeconomici su cui lo Stato da solo non riesce a operare con successo».

Rispetto alle misure previste nella manovra a carico del settore assicurativo – 4,3 miliardi che diventano 11 in tre anni – lo dice con chiarezza il presidente di Ania, l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici, Giovanni Liverani, ospite d’onore alla cerimonia di diploma del master in Insurance & Risk Management del Mib Trieste: un contributo le assicurazioni lo hanno già dato «in una fase molto delicata dell'evoluzione della spesa pubblica italiana». E sono pronte a farlo ancora. «Non stappando le bottiglie di prosecco, come dice il ministro, ma senza indebolirci nel nostro ruolo primario che è quello di proteggere famiglie e imprese».

Diceva che il settore assicurativo può aiutare laddove lo Stato non arriva. Dove per esempio?

«Nella gestione del rischio demografico. La previdenza integrativa è uno degli strumenti per essere meno fragili nella terza e nella quarta età. Gli italiani vivono più a lungo, due anni più dei tedeschi, ma questi anni in più rischiano di viverli in maniera fragile sia fisicamente che economicamente.

La previdenza integrativa stenta a decollare perché, se dopo i 20 anni abbiamo soltanto il 38% dei lavoratori iscritto a un fondo pensione, vuol dire che il 62% ancora non ha attivato strumenti per vivere bene nella terza età come la pensione integrativa. Occorre incentivarne l’adesione e la contribuzione media e per farlo bisogna aiutare i giovani, perché quanti oggi si accostano al mercato del lavoro sono loro stessi fragili economicamente e hanno bisogno di incentivi fiscali e regolatori. Occorre anche pensare agli anziani non autosufficienti, che sono purtroppo in crescita».

C’è anche il capitolo sanità.

«È una bomba a orologeria sociale su cui ancora si è fatto molto poco. Abbiamo un Servizio sanitario nazionale che ci invidia tutto il mondo, ma non funziona bene dappertutto: noi mettiamo a disposizione la nostra disponibilità a ricanalizzare sul Servizio sanitario nazionale risorse che in questo momento sfuggono. Già oggi a fronte di 140 miliardi di spese pubbliche per il Ssn, le famiglie spendono in più 42 miliardi all'anno per procurarsi le cure in maniera diversa.

Intermediare da un punto di vista assicurativo questi 42 miliardi consentirà anche di gestire un po' meglio i flussi e quindi intercettare a vantaggio del finanziamento del Servizio sanitario nazionale, una parte di questi flussi finanziari che oggi non ci sono. Queste sono le proposte che abbiamo fatto, a fronte del nostro contributo alla manovra. Non si tratta di mercanteggiare: vogliamo contribuire anche nel lungo termine, rafforzando lo strumento assicurativo mediante collaborazioni pubblico-privato».

Per rappresentare il settore, occorre unità. Unipol è da tempo fuori da Ania, si parla anche dell’uscita di Allianz. Come vede la situazione?

«Uno dei miei obiettivi più importanti come presidente dell'Ania è quello di rendere l'associazione forte e, per essere tale, deve essere coesa e rappresentativa al massimo. Stiamo lavorando per far sì che una dialettica, nata prima del mio arrivo e che origina dall'evoluzione del mercato assicurativo italiano negli ultimi anni e dalla condivisibile richiesta da parte alcuni di una maggiore incisività ed efficienza, trovi la sintesi, in modo che tra gli associati ci sia massima coesione.

Gli associati devono farsi concorrenza sul mercato, ma quando si parla di cose di settore, l'obiettivo è quello di avere una forza comune nei confronti degli interlocutori. Una volta raggiunta questa coesione, è importante però anche la rappresentatività: stiamo lavorando in maniera abbastanza intensa per fare in modo che questi due obiettivi vengano raggiunti».

L’Italia è ancora un Paese poco assicurato?

«Largamente, purtroppo. Pensiamo alle catastrofi naturali: solo il 7% delle abitazioni e delle imprese è assicurato contro terremoti, alluvioni, frane, smottamenti. A fronte di un territorio italiano che è per il 40% esposto a rischio sismico medio o medio elevato, con il 95% dei Comuni in dissesto idrogeologico. Vuol dire che non c'è la consapevolezza: magari le stesse aziende e le stesse persone si proteggono da quei rischi risparmiando nel breve termine e accumulando una quantità di risorse molto superiore a quella che dovrebbero spendere se si assicurassero. Il rapporto di costo normalmente è di uno a mille tra acquistare uno scudo di protezione (la polizza) e proteggersi “a mani nude”».

Ritiene che in Italia occorra una nuova educazione all’assicurazione?

«Il nostro compito è quello di diffondere la conoscenza di questo strumento. Abbiamo firmato un protocollo di intesa con il ministro dell’Istruzione e del merito Valditara, che prevede che venga insegnato nelle scuole superiori come funziona l'assicurazione con strumenti moderni e affini all'età dei ragazzi. Partiremo a novembre anche con un tour della fondazione Ania che toccherà Torino, Milano, Napoli e Roma ed entreremo proprio nelle scuole per diffondere questa idea».

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