Massimo Carraro: «Porteremo il modello Morellato in Francia»

PADOVA. Novant’anni vissuti innovando, rompendo schemi, tutti quanti. Un gruppo internazionale in cui l’80% dei dipendenti è donna, «a tutti i livelli, anche nel top management sono la maggioranza» dice Massimo Carraro. Il gruppo in questione è Morellato. Le origini dicono tutto, nel 1930 un ciabattino inventò in una bottega veneziana il primo cinturino in pelle. Da allora è stato un crescendo, è cambiato il modello di business, sono state fatte acquisizioni, conquistati mercati, rivoluzionato il mondo del gioiello italiano.
Carraro come presidente del gruppo Morellato qual è il bilancio di questi “primi novant’anni”?
«Noi nasciamo come un’azienda manifatturiera, una cosa che mi rende orgoglioso è che novant’anni dopo siamo ancora dei produttori. Ma ci siamo chiaramente evoluti. Rimanendo fedeli all’idea di Giulio Morellato, perché quando lui iniziò negli anni Trenta a fare i cinturini per orologi, portò una grande innovazione di prodotto. Al tempo, infatti, gli orologi erano portati nel taschino e non al polso».
L’innovazione è stato un tratto distintivo della storia del gruppo, c’è stato un passaggio generazionale che ha cambiato tutto.
«Dopo Morellato c’è stata la seconda generazione, fatta da mio papà e dai suoi soci, poi alla fine degli anni Ottanta sono entrato prima io, poi mio fratello e in momenti successivi mia moglie. Oggi siamo noi i tre soci e quelli impegnati direttamente in azienda, a parte delle quote che fanno complessivamente il 3 per cento, che nel tempo abbiamo dato ai soci di minoranza francesi».
Chi sono questi soci?
«Sono gli azionisti di riferimento di Mister Watch e l’azionista di riferimento di Cleor, cioè delle due società francesi che abbiamo acquisito nel 2019, anno in cui abbiamo cercato di replicare in Francia quel modello di integrazione di filiera che avevamo realizzato in Italia e quindi creazione, produzione, gestione dei marchi, distribuzione wholesale e retail. Abbiamo acquisito prima una società wholesale e cioè Mister Watch e poi a novembre del 2019 abbiamo preso Cleor, retail francese con una rete di 140 negozi, dando ai soci di queste aziende anche una partecipazione azionaria. Entrambi sono nel nostro cda, dove siedono come amministratori indipendenti, ormai da molto tempo, Matteo Marzotto e Marina Salamon».
Voi siete nati rompendo uno schema.
«Oggi si direbbe che siamo stati disruptive. Siamo nati con un’innovazione che negli anni Novanta è stato il “Gioiello da vivere”: una visione legata alla trasformazione del consumo, della donna e del suo stile di vita. Una trasformazione che altri avevano già fatto ampiamente nell'abbigliamento. Nell’ambiente del gioiello, che era un po’ ingessato, era invece una grande novità, il gioielli easy to wear. Il valore del gioiello come design, come bellezza e non come materia, come quantità di oro. Stiamo parlando di qualcosa che oggi è acquisito, ma allora non era così: il gioiello era identificato con il valore della materia prima».
È stato un cambio culturale, ma poi avete anche spinto sulle acquisizioni, invadendo settori, come quello dell’orologio e strutturando un modello verticale che nel gioiello non si era ancora visto.
«Sì abbiamo acquistato Sector e quindi siamo entrati nel mondo dell’orologio, oltre Sector c’erano anche Philippe Watch e le varie licenze, oggi tra queste abbiamo Trussardi e Maserati».
Però al modello per essere completo, seguendo uno schema cui lei si è sempre ispirato, e cioè quello che Luxottica ha fatto nell’occhiale, serviva anche il contatto diretto con i clienti e quindi i negozi.
«Nel 2008 abbiamo fatto un’altra scelta strategica: l’idea era che bisognava arrivare a parlare con il mercato e abbiamo acquistato Bluespirit. Al tempo per noi era vitale avere informazioni, quelle che oggi si chiamerebbero Big Data. Abbiamo iniziato con 43 negozi e oggi ne abbiamo 235 in Italia, compresi i negozi D’Amante che abbiamo acquisito a inizio 2020, con i quali vogliamo creare una diversificazione di insegne. Tutto ciò si inserisce in un contesto più ampio. Perché noi ancora a fine anni Novanta abbiamo comprato Kronoshop, piattaforma di commercio elettronico cui abbiamo affidato la gestione dell’ecommerce di tutti i brand di gruppo e l’integrazione on line/ off line delle vendite. Vogliamo controllare l’omnicanalità. Oggi fare e-commerce non è essere innovativi, ma è quasi un andare al suicidio considerando chi c’è sul mercato, pensiamo solo ad Amazon. L’elemento innovativo è stato non affidare a terzi lo sviluppo del commercio elettronico. E poi arriviamo ai nostri giorni, la Francia insieme all’Italia sono le grandi nazioni della moda, per noi quello è il secondo mercato, quindi una piazza importante in cui stiamo portando il nostro modello».
Le vostre ambizioni sono state bloccate dalla crisi sanitaria?
«Quest’anno nel consolidato, senza lockdown, avremmo superato i 300 milioni di fatturato, anche con il coronavirus dovremmo essere attorno ai 260 milioni, con un ebitda del 20% e con una crescita che abbiamo reso sempre sostenibile con una posizione finanziaria molto buona ».
La sfida del futuro, lei dice, è la sostenibilità, che cosa significa per voi?
«Abbiamo acquistato e lanciato il primo marchio di orologi fatti al 100%con materiali sostenibili, abbiamo una linea di diamanti ecologici: Live Diamond. E abbiamo celebrato i nostri novant’anni rendendo la nostra sede a Santa Giustina in Colle totalmente plastic free e realizzando un parco con 400 alberi. Un luogo bello dove lavorare, perché anche questo conta se vuoi attrarre i talenti che ti servono per crescere». —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © il Nord Est