«Luciano Benetton è un genio, sono pronto a tornare anche se ora è difficile risollevare il brand»

È il testimone di una delle fasi storiche più felici per l'azienda e la famiglia, anche grazie alle competenze che portò alla corte di Luciano Benetton nel 1981 in qualità di amministratore delegato. Scelto, all'epoca, perché arrivava dal mondo della finanza (esperienze in Banca d'Italia e ministero dell'Industria) e poteva aiutare Benetton Group a fare il grande salto verso il mercato dei capitali.
Con Aldo Palmeri, 73 anni, sarebbero arrivate la quotazione in Borsa e la nascita di Edizione. «Rimasi in Benetton fino al 1995, con una pausa tra i due mandati» racconta oggi Palmeri, «fu un'epoca d'oro, non fatemi parlare dei problemi che ci sono oggi con Autostrade o con il tessile, sono situazioni che non conosco».
Che ricordo ha, allora, della "sua" Benetton?
«Ho contribuito a una storia di grande successo, ma il grande riferimento per me rimane Luciano Benetton. Lo considero un genio autentico, l'altro è Michele Ferrero, il terzo Carlo Azeglio Ciampi. Con caratteristiche diverse, ciascuno di loro mi ha insegnato tanto, più dell'università. Quando sono entrato in azienda fatturava 140 miliardi di lire, quando ne sono uscito nel 1995 erano 3.500 miliardi, con un Ebitda strepitoso».
Altri numeri, oggi: 756 milioni di euro di perdite dal 2012 a oggi. Che idea si è fatto?
«Anche la vita delle aziende è fatta di cicli. I mercati cambiano con una velocità incredibile, non ci si può mai basare sulle glorie passate, bisogna pensare al futuro con strumenti nuovi». E nemmeno Luciano Benetton ci è riuscito?«Gli ultimi anni non intaccano la sua grandezza. Parliamo di una famiglia che dal nulla ha creato un nuovo concetto d'impresa, rovesciando gli schemi tradizionali. Ha creato ricchezza e posti di lavoro».
Perché la famiglia è sotto attacco sul piano personale?
«Perché è vittima di una critica volgare, un comportamento meschino da parte di politici demagoghi da strapazzo. Una vergogna che non può annullare una storia di orgoglio del Paese Italia».
Torniamo all'azienda: perché a un certo punto non ha più saputo leggere il mercato?
«Evidentemente non c'è stata la capacità di adeguarsi alle nuove logiche commerciali al momento giusto e in tempi rapidi. Pensiamo a Zara: quando è nata, Benetton Group era un colosso, il sorpasso è stato rapidissimo, con tempi di reazione immediati. Oggi si diventa obsoleti in un batter d'occhio. Forse è mancata la tempestività nell'adeguarsi al momento giusto».
Crede che sia possibile per Ucb recuperare terreno in futuro?
«Sinceramente, ora la vedo difficile. Luciano può fare tutto, è eccezionale per garbo, intelligenza e personalità. Io ho vissuto una serie di combinazioni positive, la squadra era affiatata in ogni sua componente. Mi ricordo un autista dell'epoca, Mario: conosceva perfettamente ogni comparto dell'impresa, ne sapeva quanto me che ero l'amministratore delegato. Gestione fantastica e grande clima aziendale. Le storie, però, non si ripetono».
Se Luciano la richiamasse, tornerebbe a dare una mano?
«Certo, se me lo chiedesse non potrei mai dire di no. Quando Luciano mi ha chiamato, in passato, non ho mai chiesto a quali condizioni, sono andato e basta. Con lui sono diventato trevigiano d'adozione. Ricordo la prima riunione degli industriali a cui partecipai, c'era Aldo Tognana presidente, esordì dicendo che bisognava difendere la purezza del sangue veneto. Io, siciliano di nascita e romano d'adozione, mi alzai in piedi e chiesi: ma io posso restare o me ne devo andare? A parte questo, a Treviso sono stato benissimo, sempre».
Il brand Benetton è più forte all'estero che in Italia?
«È ancora un marchio conosciuto e apprezzato. Ma non può essere al livello di un tempo». --
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