Il Gruppo Zoppas veleggia verso il miliardo nel 2022, ma teme il rebus inflazione
Gianfranco Zoppas: «Il 2022 sarà un anno di ulteriore crescita. Noi non siamo né italiani, né europei, ma globali. E la domanda globale ci richiede, già oggi, di aumentare le nostre capacità produttive, con riflessi sulle dimensioni della fabbrica che sul personale».

«La nostra realtà, fra Irca, Rca e Sipa raggiungerà quest’anno gli 840 milioni e il prossimo anno ne prevediamo 960, forse 970 milioni. L’orizzonte è buono. Bisogna cercare di capire quanto influirà l’inflazione». Così Gianfranco Zoppas, presidente dell’omonimo Gruppo (Irca e Sipa), che prevede comunque ulteriori sviluppi, ma si dice preoccupato delle fibrillazioni politiche, oltre che delle ricadute dell’aumento dei prezzi. «Per quanto riguarda le nostre attività, il 2022 sarà un anno di ulteriore crescita. Noi non siamo né italiani, né europei, ma globali. E la domanda globale ci richiede, già oggi, di aumentare le nostre capacità produttive, con riflessi sulle dimensioni della fabbrica che sul personale».
L’ulteriore sviluppo del vostro Gruppo quali riflessi avrà sull’occupazione?
«La nostra occupazione continuerà sicuramente ad aumentare. Ma non sono in grado di precisare, al momento, di quante unità».
Saranno indubbiamente parecchie con un aumento di fatturato intorno ai 100 milioni. Ma riuscirete a trovare le figure professionali che vi interessano?
«Sì, seppur con grande fatica, stiamo trovando questi collaboratori. E questo perché stiamo diventando un approdo ambito. D’altra parte, stiamo cercando di diventare sempre più attrattivi. Qui a Vittorio Veneto, ma anche in Cina, Russia, Germania, Romania, Serbia, Stati Uniti e Messico».
Quali sono i mercati che crescono?
«Quelli cinesi, ma non vanno male neppure i mercati europei. A farmi paura, però, è l’inflazione».
Perché l’inflazione?
«Temo che non sia un fattore passeggero, per cui è un nemico che va combattuto. In Germania l’inflazione ha superato il 6%. Il pericolo è forte anche in America, dove peraltro si prevedono forti reazioni. Ne consegue che l’aumento dei prezzi delle materie prime si limita, in alcuni casi, al 5%, ma in altri arriva al 70%. Lo vediamo sulle bollette, sul gas, sulla benzina».
Qual è, dunque, la sua preoccupazione?
«Siamo saliti, così tanto saliti che di fronte a noi cominciamo a vedere una specie di baratro. Quindi bisogna essere assolutamente prudenti. E noi, per quanto ci riguarda, dobbiamo capire quale sarà la reazione della nostra clientela».
Voi lavorate anche per l’automotive. Il comparto comincia a reagire rispetto alla crisi che l’ha attraversato in questi mesi?
«Rispetto agli ordinativi, ce ne sono fin che si vuole. Ma la realizzazione delle auto e la loro consegna sono un rebus terribile. Mancano le materie prime, acciaio e plastica, ma soprattutto c’è il dramma dei cosiddetti chip. Le macchine ne hanno dai 1.500 ai 3 mila e non si trovano. Le auto elettriche ne avranno molti di più. Chip non se ne trovano e si tenga conto che le automobili costituiscono solo il 15% del mercato dei chip. La clientela, affamata di auto, è costretta alle code. Ma quanto pazienterà?»
La vostra attività delle resistenze ha attraversato la crisi indenne, anzi registrando ulteriori performance. Il motivo?
«La gente, chiusa in casa, ha scoperto che i propri apparecchi erano obsoleti e li hanno rinnovati per rendere la vita familiare più accogliente. E noi ne abbiamo approfittato per creare delle alternative a questa situazione. Stiamo passando rapidamente dal componente ai sottosistemi funzionali».
La preoccupano le fibrillazioni politiche del momento?
«L’Italia dispone in questo momento del miglior cavallo d’Europa, forse del mondo. Mi preoccupano le speculazioni in atto perché rischiamo che questo cavallo non vada né da una parte né dall’altra. Il presidente Draghi ci è invidiato da tutti e rischiamo di mangiarcelo; sarebbe deleterio, ci riporterebbe nel buio della notte».
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